Il progetto di ricerca intende approfondire le ragioni che, lungo un arco temporale che va dai primordi aniconici della fede cristiana (I-III sec.) fino alla pressoché definitiva affermazione della sua vena iconofila e addirittura iconodula nell'VIII sec., hanno condotto la cultura cristiana antica a modificare in profondità il proprio concetto di immagine, nonché la pratica che su di esso è stata basata.
Trasformazioni che la storia dell'arte tardo-antica e l'archeologia cristiana hanno in prevalenza spiegato come risultato di una progressiva evoluzione "artistica" e stilistica, e che invece il progetto intende studiare e approfondire nel loro effettivo contesto storico-dottrinale, guardando ai non secondari collegamenti che tali trasformazioni hanno avuto con la storia del cristianesimo in formazione.
Un punto di vista, dunque, in parte differente da quello correntemente utilizzato dalla storia dell'arte tardo-antica e dall'archeologia cristiana, procedendo dal quale divengono più perspicue le ragioni che hanno condotto la fede cristiana dapprima a rifiutare come idolatriche le immagini e la pratica di culto che ad esse riservava la contemporanea cultura imperiale pagana. In un secondo tempo ad elaborare, a partire soprattutto dalla cultura latina, un concetto e una pratica dell'"imago humilis" finalizzati a legittimare la rappresentazione, conferendole la medesima valenza tipologica-figurale già conferita al "sermo humilis" delle Sacre scritture, così da attenuare i sospetti che su di essa aveva lasciato in eredità a quella cristiana, la fede giudaica. Infine, ad approdare a una nuova pratica cultuale delle immagini, le `icone' propriamente dette, che, partita in questo caso dalla parte orientale dell'impero, più che al ritorno ai principi ellenistico-romani della rappresentazione di cui ha spesso parlato la storia dell'arte bizantina, va imputata invece a una fase nuova e compiuta di rivelazione del mistero di fede trinitario.
L'aspetto innovativo della ricerca risiede, perciò, innanzitutto nella metodologia. Una metodologia atta a determinare - peraltro in riferimento a un orizzonte storico e culturale in cui parlare di 'arte' nel senso moderno del termine, con i suoi connotati estetici di gusto, bellezza, disinteresse, sentimento di piacere, è semplice anacronismo -, origini e cause profonde delle trasformazioni che la pratica cristiana delle immagini ha subito, inserendole appropriatamente all'interno del contesto teologico e dottrinale nel quale si sono compiute. Un contesto in cui anche le immagini pittoriche e scultoree, i contenuti di cui si sono fatte portatrici, l'uso, liturgico e non, che ne è stato fatto, lo stile che ne ha contraddistinto le varie fasi, i materiali con cui sono state realizzate, non riflettono una generica "Weltanschauung", come spesso la storia dell'arte ha indicato, ma manifestano un più stretto nesso funzionale con le posizioni teologiche e dottrinali man mano prevalse nella storia della Chiesa delle origini, mostrandosi come il "modus operandi" per certi versi più esemplare - e come tale anche potenzialmente più produttivo dal punto di vista euristico - dei diversi "habitus" mentali attraverso i quali la forma di vita cristiana antica è passata.
Una metodologia in grado di dare conto, con un respiro storico che abbraccia tarda antichità e alto medioevo cristiani, delle tre grandi fasi che hanno caratterizzato la storia dell'iconologia e dell'iconografia cristiane antiche. Fasi che raramente sono state poste in un rapporto così organico da mostrare perspicuamente continuità e discontinuità teoriche, stilistiche e funzionali.
1) La fase aniconica (I-III sec.), nella quale le spinte antiidolatriche sono prevalse fino al punto da impedire anche nella cultura cristiana - come era stato, anche se su altre basi teologiche, per quella giudaica - l'adozione di una prassi iconografica che potesse fornire rappresentazione visiva ai contenuti storici e di fede trasmessi dalle Sacre scritture. Ciò in base a un concetto di idolatria che, ben più complesso di quello giudaico - tratto quest'ultimo dalla diretta e univoca osservanza della Legge, in particolare del Secondo Comandamento -, ha resistito finché le correnti encratiche, di stampo giudeocristiano, o quelle docetistiche, di stampo invece gnostico, hanno prevalso sulle spinte "iconologiche" prodotte dall'idea, fondamentale nella teologia paolina, dell'"eikon tou theou", riferita a Gesù Cristo "immagine di Dio" (2Cor 4, 4; Col 1, 15) e in un caso addirittura all'uomo (1Cor 11, 7).
2) La fase dell'"imago humilis" (III-IV sec.), in cui la cultura cristiana, pur mantenendo intatta la propria forza antiidolatrica - rivolta in particolare contro la ricercatezza tecnica e formale e i contenuti ideologici della cultura figurativa ellenistico-romana, soprattutto imperiale -, ha adottato, allo scopo di affermare anche sul piano visivo quei valori di umiltà, umanità e semplicità spirituale derivanti dalla nozione teologica di 'kenosis' e adottati anche dal 'sermo', il dispositivo figurale-tipologico cui si è accennato sopra con Auerbach. Dispositivo che consiste sostanzialmente nella trasfigurazione e, ancora più precisamente, nella «prefigurazione» delle cose future più alte, ultima la gloria luminosa di Dio, "incarnata" nelle cose più basse, povere, deiette, dell'esistenza umana passata e presente.
3) La fase seguita alla svolta bizantina di cui si è detto (V-VIII sec.), contraddistinta più che da un ritorno ai principi greci della rappresentazione, più che da quella grande sintesi tra i principi iconologici della tradizione ellenistico-romana e la nuova fede di cui hanno parlato alcuni grandi studi di bizantinistica - E. Kitzinger, nel libro sopra citato si è spinto a parlare di un «ellenismo perenne» cui avrebbe fatto ritorno anche la tradizione cristiana dopo la rivoluzione iconologica dei primi secoli -, da una dinamica assai più complessa. Una dinamica in larga parte interna alla storia delle dottrine cristiane, caratterizzata dalla lotta drammatica contro eresie, prima di tutte quella ariana, che tendevano a separare umanità e divinità di Dio, frantumando con ciò l'essenza trinitaria del Dio cristiano e negando, di fatto, il mistero della Rivelazione. Eresie contro le quali il cristianesimo ortodosso usò anche la forza dell'immagine, per riaffermare, mediante le icone e il loro culto, il rapporto di unità "ipostatica" tra il Padre, il Figlio e lo Spirito.
Dunque, una storia riguardante momenti e nozioni salienti del cristianesimo antico, desunta attraverso i passaggi e le trasformazioni che il concetto e la pratica dell'immagine hanno subito nella cultura cristiana fino alla definitiva affermazione "iconodula" avvenuta nel 787 al II Concilio di Nicea.