La ricerca si propone di mappare storicamente e attraversare criticamente il territorio ancora in buona parte sommerso delle pratiche performative in Italia, nell¿intervallo cronologico in cui queste si affermano in quanto tali, alla metà degli anni Sessanta, e fin quando è possibile separarle dal teatro sperimentale vero e proprio, i primi anni Ottanta.
Il filo conduttore è l'uso del corpo da parte degli artisti visivi, ovvero una prassi comportamentale, performativa pubblica o privata che ha a tema il corpo individuale dell¿artista o quello di altri soggetti da lui coinvolti, la sua identità. La ricerca incrocia questioni come il femminismo, le identità culturali di alcune aree geografiche italiane, il mito, la storia dell¿arte, i riti e la religione.
La ricerca è basata sulla consultazione di archivi documentari, fotografici e videografici istituzionali, di gallerie e di artisti; sullo spoglio di periodici di settore e dei cataloghi delle grandi rassegne nazionali e internazionali.
Risultato atteso è la messa a fuoco di un primo quadro storiografico e teorico d¿insieme sullo sviluppo delle pratiche performative italiane nella fase storica considerata, sullo sfondo del contesto internazionale.
Gli esiti previsti sono un volume miscellaneo (adeguatamente illustrato per opere spesso dimenticate) a cui partecipano storici dell¿arte con conoscenze specifiche nelle aree geografico-culturali italiane; e una mostra documentaria basata su archivi fotografici e audiovisivi recentemente digitalizzati e di cui si è già sondata la disponibilità.
Durante la ricerca sarà organizzato un seminario internazionale sugli aspetti metodologici della storicizzazione della Performance Art europea. Di tale confronto si gioveranno i singoli contributi al volume miscellaneo sulla storia della performance art italiana.
La performance art italiana non ha ancora una narrazione storico-critica: il volume che messo in cantiere con la ricerca in oggetto sarà un contributo sostanziale per colmare tale carenza, con l¿ambizione di diventare un¿opera di riferimento. Forti di alcuni anni di studio su tali tematiche, e ormai avvertiti circa le principali difficoltà metodologiche - coincidenti con un documentazione dispersa e varia, da confrontare con i ricordi dei protagonisti - gli studiosi coinvolti si impegnano in un lavoro di raccolta e analisi delle fonti primarie, con periodici confronti all¿interno del team di ricerca e in scambi internazionali: sia nella forma di un workshop a Roma, con ospiti internazionali aderenti alla rete Networking the Histories of Performance Art; sia favorendo la partecipazione dei componenti del team di ricerca a convegni e seminari internazionali focalizzati su tali questioni, come Performance, Intimacy, Affectivity (Lisbona 18-19.II.2019) a cui recentemente Gallo ha preso parte.
Il gap che continua a circondare la conoscenza di buona parte della scena artistica italiana nel contesto internazionale - con l¿eccezione dell¿Arte Povera e della Transavanguardia - ha cause molteplici, ma certo deriva anche dalla scarsa attenzione per la produzione artistica nostrana da parte degli studiosi italiani. Solo da una decina-quindicina d¿anni la tendenza è stata invertita, con un crescente interesse di giovani studiosi per l¿arte contemporanea italiana, in particolare del secondo Novecento. Tale inversione di tendenza, però, non ha ancora interessato la Performance Art: ne è un esempio la recente, e pur utile, antologia Performance Art. Traiettorie ed esperienze internazionali (Castelvecchi 2018) in cui non si prova nemmeno a integrare nelle narrazioni internazionali i molti contributi italiani, sia degli artisti, sia degli storici e dei critici.
La presente ricerca, il volume e la mostra che ne conseguono, invece, intendono fornire un primo quadro unitario su tali esperienze artistiche, sulla scorta del costante confronto con le performance di Marina Abramovic, Vito Acconci, Joseph Beuys, Hermann Nitsch ¿ tra i molti stranieri attivi in maniera continuativa nel nostro paese in quegli anni.
Nel volume e nella mostra saranno analizzate, tra le altre, le performance di Mirella Bentivoglio, Tomaso Binga, Guglielmo Achille Cavellini, Giuseppe Chiari, Claudio Cintoli, Claudio Costa, Gino De Dominicis, Giuseppe Desiato, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Ketty La Rocca, Arrigo Lora Totino, Renato Mambor, Lucia Marcucci, Eliseo Mattiacci, Anna Oberto, Luigi Ontani, Luca Patella, Giuseppe Penone, Lamberto Pignotti, Gianni Pisani, Vettor Pisani, Michelangelo Pistoletto, Michele Sambin, Cesare Tacchi, fra i più noti e attivi. Lo studio, infatti, ambisce a tenere assieme performance anche stilisticamente molto diverse tra loro: dal ricorso al linguaggio verbale, alla mediazione tecnologica, alla presenza di oggetti-scultura e ai riferimenti mitologici ¿ ben oltre, quindi, il corpo ¿deculturalizzato¿ della Body Art più nota.
E¿ infine fondamentale pubblicare la documentazione visiva (fotografie e frame da videodocumentazione) delle opere analizzate: per tale via, infatti, si intende contribuire a sviluppare una metodologia di studio che non assuma il singolo scatto iconico (magari selezionato dal medesimo artista) come esclusivo punto di partenza ermeneutico. L¿ambizione è di avviare uno studio più complessivo che individui fonti corrette per opere che si svolgono nel tempo, in forte dialogo con il contesto fisico e umano in cui avvengono. Le sequenze fotografiche e la documentazione video/filmica d¿epoca - ormai ampiamente digitalizzata - è infatti la chiave d¿accesso privilegiata individuata dalla presente ricerca sulla Performance Art italiana.
Tra le fonti audiovisive vanno incluse anche le trasmissioni televisive, particolarmente utili nel caso delle grandi rassegne e mostre oggetto di servizi di cronaca e di approfondimento sulal televisione italiana.
D¿altronde sarà proprio questo il materiale che costituirà l¿ossatura portante della mostra documentaria, che si preannuncia come la prima di questo tipo a livello nazionale.