La ricerca si propone di ripensare il rapporto tra scrittura e riscrittura della storia (tarikh) in Iraq: lo strumento di indagine prescelto è la storiografia, intesa come pratica narrativa e quindi declinabile in forme di scrittura molteplici. Nella doppia prospettiva temporale pre-moderna e moderna del progetto, ripensare il ruolo di chi fa storiografia - intesa come riflesso di un'esperienza umana collettiva tradotta in narrazione -, e la natura degli strumenti a sua disposizione diviene essenziale per analizzare la storia di un paese che rappresenta un caso studio eccezionale. L'unicum iracheno è legato sia alla sua storia secolare all'interno del mondo arabo-islamico, ma anche alla pluralità etnica e religiosa della popolazione. In epoca moderna e contemporanea si è tuttavia assistito a una ridefinizione radicale del pluralismo religioso che, alla luce del mutato rapporto tra settarismo, dissidenza e storiografia, merita di essere indagata.
La novità della ricerca risiede nell'approccio disciplinare trasversale (archeologia e storia dell'arte islamica, storia culturale dell'Islam medievale, storia e letteratura del mondo arabo moderno e contemporaneo) che assicura la copertura di una dimensione diacronica entro cui osservare i mutamenti delle categorie culturali che hanno caratterizzato la narrazione della storia dell'Iraq. La ricerca si propone quindi di colmare un gap knowledge sui codici di narrazione, alcuni persistenti nel tempo, ma che, assumendo valenze diversificate, sono in grado di consegnare una storia "altra" al presente. Le storie locali concepite come dizionari biografici degli abitanti e il rapporto tra fonti storiche e indagine archeologica consentiranno di recuperare una storia alternativa dell'Iraq pre-moderno; il sorgere di codici di narrazione non canonici o che contestano il canone, decostruendolo, permetteranno di offrire una contro-storia delle diverse dinamiche che animano il tessuto culturale iracheno contemporaneo.
Il primo elemento di innovatività risiede nell'analisi del rapporto tra storia e riscrittura della storia in Iraq in prospettiva diacronica. Il Paese rappresenta, come abbiamo visto, un caso studio particolare: la pluralità religiosa ed etnica delle voci che ne hanno composto la storia, e le tensioni che nei secoli essa ha lasciato emergere, di quella storia ha prodotto molteplici versioni, in una costante dialettica tra gruppi egemoni e minoranze. Di queste ultime, la storiografia è stata a lungo il luogo in cui tale dialettica è stata raccontata. Con questa ricerca, per la prima volta si analizzano le forme di una narrazione del dissenso e gli spazi pubblici della loro circolazione nella lunga durata: le strategie pre-moderne di narrazione di sé delle istanze minoritarie e della dissidenza si confrontano con quelle moderne, maturate con lo sgretolamento del Paese dopo l'occupazione del 2003, (la "agony of Iraq" di cui parla Alsagaaf, "The Iraqi Novel Emerges from the Womb of Disaster", Banipal, 61, 2018, 22-8).
Altro elemento di innovatività della ricerca è di conseguenza costituito dall'approccio trasversale che coinvolge tre ambiti disciplinari diversi che raramente interagiscono: archeologia e storia dell'arte islamica, storia culturale dell'Islam medievale, storia e letteratura del mondo arabo moderno e contemporaneo. Essi assicurano la copertura di una dimensione diacronica estremamente dilatata entro la quale proprio la storiografia, intesa come genere letterario variamente espresso da "forme" narrative diverse e stratificate nel tempo e nella storia culturale dell'Iraq, permette di identificare tematiche omogenee rappresentative del rapporto tra storia e narrazione. Infatti, un ulteriore elemento di innovatività è costituito dalla centralità della storiografia quale strumento ermeneutico che consente di individuare e comprendere strategie di riscrittura della storia fondate su codici narrativi persistenti nel tempo e osservabili in vari aspetti della produzione letteraria e culturale irachena come, per esempio, l'intersecarsi di storie locali che nascono, dai dizionari biografici e che isolano l'esemplarità della biografia (genere legato, in età preislamica e premoderna, all'interesse culturale per le genealogie) per trasformarla in unità narrativa delle storie di città; l'interpretazione della cultura materiale alla luce di dinamiche politiche e religiose antiche e contemporanee; il sorgere di schemi di narrazione non canonici o che sfruttano e sfidano il canone decostruendolo e scrivendo la storia anche da assi temporali differenti (ucronie, distopie). Si tratta, in definitiva, di andare a rilevare quelle "tracce dell'uomo" che si possono scoprire nella lingua, nei costumi, nelle forme narrative e che consentono di riscrivere la storia anche in maniera alternativa a quella ufficiale.
Questa esperienza potrebbe condurre alla creazione di un gruppo di studio permanente sulla scrittura e riscrittura della storia irachena, potenziale punto di riferimento per studiosi e studenti, italiani e stranieri, in grado di contribuire alla formazione di un Iraqi-corpus variamente accessibile. In questa prospettiva si richiede un assegno di ricerca per indagare le nuove forme di documentazione scaturite dalla frattura del 2003 e che danno ancora voce ai movimenti di protesta che dal 2018 stanno ridisegnando lo spazio d'azione e le modalità degli attori culturali nella scena pubblica irachena. In tal modo si recupererà la dimensione storiografica andando oltre i security studies.