Sull¿esplosione del lavoro autonomo molto si è scritto in questi anni a sottolineare sia le condizioni di fragilità in termini di tutele e diritti sociali, sia la creazione di dualismi e frammentazioni che favoriscono soprattutto i lavoratori con più alto capitale culturale e di network. Quello che sembra emergere da recenti indagini, suggerisce però che i processi dualizzazione tra lavoratori forti vs vulnerabili più che dipendere dalle tipologie di lavoro autonomo risentono di elementi legati agli aspetti organizzativi, alle capacità individuali e soprattutto ai sistemi di regolazione e rappresentanza.
Sul piano dell¿offerta di rappresentanza, accanto al tentativo di alcune delle principali sigle sindacali di dotarsi di strutture ad hoc per gli autonomi, stanno prendendo spazio una serie di nuovi soggetti che spaziano da iniziative locali a organizzazioni più strutturate. Tra queste un caso interessante e poco studiato è costituito da Smart. Questa cooperativa nata in Belgio per rappresentare gli autonomi del settore artistico e diffusasi poi in altri settori e paesi, è un caso di studio molto interessante sia rispetto ai meccanismi di regolazione sia rispetto alle motivazioni dei lavoratori che vi si associano. Il caso di Smart-Italia rappresenta però un ibrido, perché l¿offerta di tutele non passa per una effettiva contrattazione e un nuovo sistema di regolazione, ma attraverso la trasformazione dello status dei lavoratori, che da indipendenti divengono dipendenti. Il progetto presentato, attraverso lo studio di questa associazione intende approfondire sia le caratteristiche ma soprattutto le motivazioni e le richieste dei lavoratori autonomi che si rivolgono a Smart, sia sul piano degli attori della rappresentanza, il rapporto tra questi nuovi attori e il sindacato che si configura come piuttosto complesso e in molti casi conflittuale. I risultati chiariranno le nuove esigenze dei lavoratori autonomi e fornirà utili spunti per ridefinire l¿azione sindacale
Pur essendo in corso una serie di studi volti ad indagare e definire le condizioni di lavoro e le trasformazioni che, anche in seguito alla digitalizzazione, stanno trasformando il lavoro autonomo, sono ancora poche le ricerche che stanno guardando alle nuove forme della rappresentanza e che stanno cercando di capire, sia dal punto di vista dei lavoratori che da quello degli attori della rappresentanza, quali sono le esigenze principali a cui cercare di fornire una risposta, ma soprattutto in che modo arrivare a costruire dei sistemi di rappresentanza collettiva capaci di rispondere anche alle esigenze del lavoro autonomo.
Pur a fronte della recente introduzione del cosiddetto Statuto del lavoro autonomo (L. 81/2017) che mira ad allargare alcune tutele tipiche del lavoro dipendente ai lavoratori indipendenti e autonomizzare il lavoro subordinato, attribuendo maggiore rilevanza agli aspetti di autonomia del lavoro dipendente (Zilio Grande e Biasi 2018), questo provvedimento appare ancora insoddisfacente e di portata limitata proprio rispetto alla rappresentanza collettiva. Il richiamo ai sindacati è infatti circoscritto ad una azione di intermediazione con il sistema dei servizi per l¿impiego pubblici e/o accreditati (art. 10) e ne viene raccomandata la presenza ad un Tavolo tecnico ¿con il Ministero delle politiche sociali e del lavoro e la parte datoriale- per l¿individuazione di indirizzi nell¿ambito di politiche previdenziali, welfare e formazione (art. 17).
Da questo punto di vista, il progetto presentato può offrire l¿occasione di studiare a partire da un nuovo soggetto della rappresentanza non solo quali istanze vengono soddisfatte ma ancora di più gli elementi di criticità posti in essere da questi nuovi attori che però stanno guadagnando sempre maggiore spazio e legittimità anche nel dibattito pubblico.
Non pochi sono infatti gli elementi critici insiti in soggetti come Smart, più vicini al mercato che non al mutualismo e alla rappresentanza dal basso e che quindi risultano in ogni caso portatori di un interesse non necessariamente corrispondente alle esigenze dei lavoratori. In questo senso studiare da vicino questa esperienza potrebbe essere utile per capire le leve da cui partire per rafforzare invece la forza delle organizzazioni sindacali.
D¿altra parte il progetto, proprio analizzando le caratteristiche dei lavoratori che hanno scelto Smart, potrebbe evidenziare, mettendo a fuoco meglio, le crescenti polarizzazioni tra lavoratori autonomi e suggerire modalità di rappresentanza non focalizzate come sembra essere allo stato attuale solo sugli elementi regolativi.
Quello che sembra ripetersi sia nello schema delle policy che nelle esperienze messe in atto dai sindacati tradizionali, è il tentativo di inscrivere tutto nella dicotomia lavoro subordinato/lavoro autonomo senza però puntare sulla valorizzazione delle risorse e delle potenzialità presenti nel bacino dei nuovi professionisti, anche di quelli economicamente dipendenti. Puntare sulle tradizionali categorie che distinguono tra dipendente e autonomo in mancanza di una stabile controparte contrattuale sulla quale allocare alcuni rischi e costi associati al lavoro e al non lavoro, non permette di far fronte alle esigenze e alle aspettative di protezione sociale e contrattuale di tali lavoratori. Una strada possibile è quella di individuare un nucleo di protezioni minime (tutela della salute, della sicurezza sul lavoro, della maternità e paternità, prestazioni previdenziali cosi come pure libertà di organizzazione, associazione e astensione collettiva) che abbia alla base la volontà di valorizzare il lavoro dei lavoratori autonomi proprio a partire dal know-how che questi soggetti mettono in campo. Del resto la forte spinta ad aggregarsi e ricercare cornici comuni s¿inserisce all¿interno dei tentativi di ottenere tutele ma anche legittimazione e riconoscimento sociale e professionale. In questo senso la ricerca potrebbe aiutare a fornire nuovi e importanti fronti di azione rispetto all¿azione sindacale.