Nome e qualifica del proponente del progetto: 
sb_p_2606826
Anno: 
2021
Abstract: 

A partire dai primi anni Dieci e fino all'inizio degli anni Trenta dell'Ottocento, il successo di Gioachino Rossini (1792-1868) si espanse in Italia e altrove, costituendo un caso fino ad allora più unico che raro di egemonia melodrammatica. Tuttavia, la diffusione delle opere rossiniane non fu uniforme: rispetto ai titoli comici, i melodrammi seri, specie quelli composti dal Pesarese tra il 1815 e il 1820 per i reali teatri napoletani, ebbero generalmente minor fortuna al di fuori del contesto di nascita. Ciò è particolarmente evidente a Milano, dove le opere serie di Rossini arrivarono 'in sordina', venendo cioè rappresentate dapprima in piccoli teatri e solo dopo alcuni anni nella principale sala cittadina (la Scala), spesso destando reazioni tiepide, almeno a giudicare dalle fonti documentarie superstiti.
Tra i vari fattori che determinarono tale situazione nella città lombarda, potrebbe annoverarsi la presenza in loco, tra il 1816 e il 1821, del coreografo Salvatore Viganò (1769-1821): autore di coreodrammi, spettacoli perlopiù tragici, recitati e danzati su musiche di compositori prevalentemente di area viennese, Viganò fu apprezzatissimo dal pubblico della Scala, teatro di tutte le sue creazioni milanesi, nonché dal circolo dei Romantici fautori o vicini al «Conciliatore».
Trascendendo i confini tra opera e danza e intendendo Viganò quale concorrente di Rossini sul generico terreno dello spettacolo musicale, la ricerca che propongo vorrebbe indagare se e come l'arte di tale «poeta muto», come definito da Ermes Visconti, abbia instaurato presso il pubblico della Milano dei primi decenni dell'Ottocento un gusto tragico cui, evidentemente, i melodrammi seri di Rossini non si conformavano e se tale gusto, oltre a minare alla base la positiva recezione della drammaturgia seria rossiniana, possa avere indirettamente contribuito al successo strepitoso, a pochi anni di distanza dalla morte del coreografo, dei melodrammi romantici di Vincenzo Bellini.

ERC: 
SH5_5
SH5_4
SH5_8
Componenti gruppo di ricerca: 
sb_cp_is_3623869
Innovatività: 

Gli studi di drammaturgia musicale, specie quelli dedicati all'opera italiana del XVIII e del XIX secolo, hanno spesso indagato le relazioni tra spettacoli operistici e spettacoli coreutici, considerando talvolta questi ultimi quali fonti di approvvigionamento di temi, soggetti, situazioni, scenari per il melodramma (cfr. ad esempio R. Cafiero, Ballo teatrale e musica coreutica in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Settecento, a cura di F. Cotticelli e P. Maione, Napoli, Turchini, 2009, pp. 707-732; Di sì felice innesto. Rossini, la danza e il ballo teatrale in Italia, a cura di P. Fabbri, Pesaro, Fondazione Rossini, 1996). In relazione alla seconda metà del Settecento, periodo in cui si affermarono i coreografi Gasparo Angiolini, Jean-Georges Noverre, Jean Dauberval, la danza è stata considerata terreno fertile per sperimentare forme e soluzioni drammatiche che solo successivamente, per osmosi, sarebbero state accolte anche in ambito melodrammatico, più lento ad accogliere sperimentazioni e modifiche alle proprie convenzioni (sul tema cfr. A. Chegai, L'esilio di Metastasio. Forme e riforme dello spettacolo d'opera tra Sette e Ottocento, Firenze, Le Lettere, 1998). Tuttavia, la difficoltà oggettiva di reperire, soprattutto prima della seconda metà del XIX secolo, fonti musicali relative agli spettacoli coreutici, quasi mai stampate e i cui manoscritti sono andati in molti casi dispersi, ha spesso condotto chi si è occupato di relazioni tra opera lirica e danza a guadagnare di quest'ultima un'idea basata prevalentemente su oggetti letterari, quali libretti, trattati, recensioni.
In un quadro simile, il caso di Viganò rappresenta un'eccezione, di per sé significativa: le stampe Ricordi, seppur parziali, delle musiche dei suoi balli sono indice dello straordinario gradimento di cui essi godevano presso il pubblico milanese e offrono la possibilità, se osservate nel loro complesso e associate alle indicazioni sceniche reperibili nei libretti, di ricostruire il profilo di un importante capitolo della storia della musica finora indagato solo sporadicamente in quest'ottica. Come anticipato in precedenza, trascendendo i confini tra l'arte coreutica e quella melodrammatica e considerando le due quali espressioni diversificate ma affini, agli occhi del pubblico, di teatro musicale, questa ricerca osserverebbe il fenomeno viganoviano da una prospettiva innanzi tutto musicale, ponendosi pertanto in maniera innovativa rispetto alla tradizione di studi passati.
Inoltre, disponendo di una conoscenza il più possibile organica delle musiche utilizzate da Viganò per le proprie creazioni, si potrebbe non solo, com'è stato auspicato, misurare il grado di penetrazione attraverso il medium coreutico della musica 'classica', cioè ascrivibile ai musicisti di area viennese di tardo Settecento e di primo Ottocento nella Milano asburgica, centro che già durante gli anni napoleonici si era dimostrato più ricettivo di altri nei confronti di quello specifico repertorio (cfr. M. A. Smart, Waiting for Verdi, cit. passim e Martin Deasy, Looking north: Carlo Soliva and the two styles south of the Alps, in The invention of Beethoven and Rossini, cit., pp. 139-158), ma anche il tasso di permanenza in ambito teatrale di una certa modalità di scrittura melodrammatica, qui definita 'gestuale', piuttosto ricorrente nelle opere liriche italiane di fine Settecento, tra cui quelle serie di Cimarosa e Zingarelli e, almeno in parte, di Paisiello, eclissatasi quasi completamente con Rossini (almeno per quel che concerne i titoli rappresentati a Milano) e ripresa, con tutte le peculiarità del caso, da Vincenzo Bellini, specie nel Pirata e nella Straniera.
Anche da questo punto di vista, la ricerca risulterebbe innovativa nel proposito di leggere il successo delle prime creazioni del maestro catanese a Milano, non solo dalla prospettiva melodrammatica, nei termini cioè di 'ventata di novità' nei confronti della drammaturgia rossiniana, il cui fulgore andava affievolendosi sul finire degli anni Venti, ma anche in relazione a quella forma spettacolare che, se le ipotesi di ricerca verranno confermate, potrebbe essere stata decisamente più diffusa e incisiva presso il pubblico teatrale meneghino rispetto a quanto finora noto.

Codice Bando: 
2606826

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