Il progetto di ricerca intende offrire un contributo alle attuali riflessioni sullo stato della giustizia costituzionale italiana. Focus dell'analisi è il difficile equilibrio fra processo costituzionale e diritto sostanziale, tema classico dell'ambito oggetto di studio che sembra tuttavia aver oggi assunto una rinnovata centralità. L' applicazione degli istituti tipici del processo costituzionale e lo spirito di auto-contenimento della Corte in presenza di spazi riservati al legislatore democratico hanno infatti sempre subìto rilevanti oscillazioni. Tuttavia, la strada imboccata dalla Corte a partire dalla sentenza n. 1 del 2014 e, in seguito, l'ampiamente dibattuta vicenda sul caso Cappato hanno riaperto un' accesa querelle sull'esistenza di limiti all'opera lato sensu creativa della Corte.
Un'osservazione approfondita della giurisprudenza più recente consentirà di valutare se, come sostenuto da alcune non isolate voci, l'attività di "raffinamento" delle modalità di intervento della Corte abbia superato,mediante il richiamo alla necessità di improrogabili esigenze di tutela e attuazione dei diritti coinvolti, quelle invarcabili limitazioni oltre le quali la tenuta dello Stato di diritto è compromessa. Obiettivo ultimo del progetto è giudicare se l'attuale fase del judicial activism della Corte possa essere inquadrata, al contrario, nell'esercizio di una necessaria funzione suppletiva posta in essere dal giudice delle leggi ispirata a una più sofisticata logica di leale collaborazione istituzionale. Si tratterebbe, in tal caso, di un nuovo modus operandi finalizzato alla massimizzazione dell'efficacia del sistema di garanzia dei diritti fondamentali ma connotato dalla volontà di non sottrarsi a una razionalizzazione e proceduralizzazione dell' interventismo dell'organo di garanzia.
La peculiarità della ricerca è rappresentata dal tentativo di sfuggire alla classica dicotomia fra una visione favorevole e promotrice di una Corte attivista e la condanna di coloro che invocano il ritorno a una versione minimalista delle funzioni dell'organo di garanzia. Partendo da tale premessa, si inserisce la riflessione sull'attuale fase della giurisprudenza costituzionale sotto una luce nuova ma pur sempre incardinandola sotto la sfera garantista di un principio costituzionale, quello della leale collaborazione. Valore centrale nell'ambito dell'armonia del sistema ordinamentale - ma spesso trascurato, soprattutto nella sua dimensione istituzionale, poiché privo di una portata autonoma - la leale collaborazione sembra legittimare in questa nuova fase una forma effettivamente cooperativa fra organi costituzionali ogni qual volta l'esercizio della funzione di tutela della Corte si sovrapponga all'esercizio delle attribuzioni parlamentari. Sembra che per la prima volta la Corte decida di affrontare sotto un profilo differente, nella parte motiva delle sue decisioni, il problema della necessaria dialettica che viene in rilievo ogni qual volta la suddivisione dei ruoli si scontri con l'inerzia parlamentare cercando di dar luogo ad una conciliazione che consenta di non sacrificare né procrastinare eccessivamente la tutela dei diritti coinvolti. Partendo dalla premessa che le Camere rimangano la sede più idonea a farsi carico della tutela e del soddisfacimento degli interessi, preso atto ed evidenziato la presenza di uno o più inviti rivolti al legislatore caduti nel nulla, la Corte agisce in via suppletiva. Sembrerebbe trattarsi di un interventismo concreto, non soltanto "minacciato", che non si limita a denunziare la scarsa collaborazione dell'organo parlamentare e le gravi mancanze che deriverebbero dalla sua inazione. Sembrerebbe consistere in una modalità di esercizio del sindacato di costituzionalità improntata all'effettività e alla tempestività ma che non rinunzia al rispetto delle forme e alla definizione di nuovi vincoli d'intervento. È come se il mancato seguito a un precedente invito della Corte costituzionale assurga a criterio oggettivo per allentare la "morsa" della discrezionalità legislativa (Ruotolo, 2019). La mancanza di un seguito parlamentare trasformerebbe automaticamente il limite della soluzione costituzionalmente imposta da limite assoluto a limite relativo. Un modus operandi certamente non privo di criticità ma che permette di ridurre in parte la discrezionalità del giudice costituzionale poiché condiziona l'estensione e il quomodo del suo intervento normativo alla responsiveness dell¿organo parlamentare. Benchè tale iter di azione emerga certamente con più chiarezza nella vicenda Cappato e costituisca il meccanismo costitutivo della stessa incostituzionalità "prospettata", tale logica sembra emergere a chiare lettere, ad esempio, anche nella già menzionata sentenza n. 40 del 2019 nella quale la Corte afferma che l'intervento necessario a ricondurre a ragionevolezza il quadro sanzionatorio non possa essere «ulteriormente differibile, posto che è rimasto inascoltato il pressante invito rivolto al legislatore» nella pronuncia n. 179 del 2019.
La presente ricerca, dunque, si inserisce a sua volta nella riflessione istituzionale sul ruolo della Corte costituzionale italiana secondo la quale la ben nota assenza di responsività dell'organo rappresentativo e la debolezza della cooperazione istituzionale si sia rivelato per la Corte l'occasione per sviluppare una forma particolare di «strength in weakness» (Von Bogdandy-Paris, 2019), una forza che non si presenta tuttavia mai rinunciataria di fronte alla ricerca di un equilibrio fra processo e esigenze sostanziali e che trova nella procedura una fonte di self-restraint.