Come intervenire su di un museo storicizzato, alla luce delle nuove esigenze di comunicazione del patrimonio culturale? Quali strumenti museografici e allestitivi utilizzare? Come utilizzare le nuove tecnologie per rendere più efficace la comunicazione del valore storico ed estetico di una collezione? Come trattare e considerare gli allestimenti degli anni eroici della museografia italiana che costituiscono essi stessi, molto spesso, un bene culturale da preservare? Come affrontare il tema degli ampliamenti degli organismi museali? E come renderli partecipi di una visione unitaria?
La ricerca si propone di riflettere su tali questioni, a partire dall'analisi di un caso studio, il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, assunto quale paradigma del rapporto tra collezione, contenitore storico, allestimento, e nuove tecnologie per la comunicazione. Si analizzeranno le questioni sottese alla creazione del "Grande museo Nazionale Etrusco" ovvero il polo museale composto da villa Giulia, villa Poniatowski e le concerie Riganti; su come questa visione coordinata di sistema tra nuclei edilizi diversi per fattura e consistenza debba trovare una propria rappresentazione e figurazione progettuale anche in stretta relazione con gli spazi aperti della città, con la cosiddetta "valle delle accademie" ed il sistema naturale di villa Borghese e del Borghetto Flaminio.
La ricerca attraverso un'attenta sperimentazione progettuale aspira a proporre un metodo d'intervento replicabile anche nelle tante istituzioni museali italiane che come Villa Giulia abbisognano di una revisione generale delle loro modalità di apertura al pubblico contemporaneo.
La fase di sperimentazione progettuale si avvarrà del supporto offerto dal DigiLab, della Sapienza che si interessa di valorizzazione e comunicazione del patrimonio culturale attraverso l'uso delle tecnologie digitali e sarà condotta in stretta collaborazione con il neo direttore del Museo Nazionale di Villa Giulia dott. Valentino Nizzo.
L'esperienza della percezione del mondo è un'esperienza multisensoriale e come tale richiede un coinvolgimento fisico ed emotivo dell'osservatore. Lo spazio nel quale si compie questa esperienza è dispositivo qualificante tutto il processo conoscitivo; ne è parte essenziale e determinante.
Allo stesso modo, nella percezione del bene culturale i sistemi espositivi costituiscono lo strumento di maggiore efficacia e caratterizzazione dell'esperienza conoscitiva.
La storia della nostra museografia è piena di esempi da questo punto di vista emblematici. Da Scarpa ad Albini passando per Minissi e finendo ai giorni nostri con Canali, questi grandi architetti hanno prodotto allestimenti che possiamo definire vere e proprie pietre miliari nella storia della museografia. Progetti capaci di apportare valenze formali ed estetiche alla percezione del bene culturale, senza offuscarne la predominanza nell'esperienza del fruitore, meritevoli dunque di essere conservati in quanto patrimonio della cultura progettuale non solo italiana.
Come fare a preservarli senza perdere le incredibili occasioni di semplificazione che le nuove tecnologie introducono nei processi di conoscenza, e senza disattendere le aspettative dei nuovi e futuri fruitori?
Sino a che punto è lecito spingersi sul versante divulgativo? Qual è la soglia oltre la quale non conviene portare la semplificazione dei contenuti? La dimensione estetica in tutto questo che ruolo svolge? E l'obsolescenza delle nuove tecnologie? Uno spazio equilibrato e ben fatto continua a parlare ai fruitori nel tempo; un computer con il suo programma, passati solo pochi anni è un cimelio ... da museo!
L'allestimento nella sua componente fisica ed estetica deve dunque restare patrimonio della museografia, come lo è l'oggetto fisico in mostra, mai sostituibile con un surrogato digitale.
Oggi che l'innamoramento per le nuove tecnologie sembra animare molta parte della nostra società è quanto mai opportuno avviare delle riflessioni su questi aspetti.
Riflessioni che saranno tanto più utili quanto più si dedicheranno a delle fasi di prefigurazione progettuale e operativa basate su dati concreti.
Il progetto dunque come prodotto della ricerca e come strumento di avanzamento delle conoscenze rispetto allo stato dell'arte.
Come ha riportato la sorprendente indagine condotta nel 2015 dal TIMSS (Trends in International Mathematics and Science Study), ovvero l'indagine sulle competenze in Matematica e Scienze dei ragazzi delle scuole elementari e medie italiane ("La Repubblica", 28/03/2018), gli studenti che utilizzano con moderazione le tecnologie digitali, ottengono risultati migliori nello studio e dimostrano una migliore acquisizione delle nozioni studiate.
Quale messaggio ci lanciano i risultati di tale indagine? Come riconoscere la soglia di utilità delle tecnologie contemporanee nell¿apprendimento?
La riflessione si può facilmente trasporre nell'ambito della comunicazione del bene culturale che qui si sta conducendo invitandoci ad una riflessione laica capace di valutare senza partigianerie pro o contro il reale valore delle operazioni di cambiamento di cui i nuovi allestimenti sono portatori.
L'innovatività di questa ricerca sta tutta nel punto di vista da cui muoviamo: una posizione come detto laica che vuole giudicare nel merito le reali potenzialità dei nuovi sistemi di ITC visti come componenti dotati di un importante portato estetico con il quale la moderna museografia deve oramai fare i conti senza perdere però il contatto con la realtà dello spazio fisico, dello spazio naturale e dell'uomo quale unità di misura delle cose del mondo.
L'attualità della ricerca è in qualche modo confermata dalla nascita, in ambito regionale, del "Distretto Tecnologico per le Nuove Tecnologie applicate ai Beni e alle Attività Culturali" (DTC) che proprio in questo anno finanzierà con 23,2 milioni di euro progettazioni che sostengano la diffusione di tecnologie innovative per la valorizzazione, conservazione, recupero, fruizione e sostenibilità del patrimonio culturale del Lazio.