La ricerca affronta un tema di crescente rilevanza negli ultimi anni, che le recenti misure governative legate alla pandemia Covid hanno reso ancora più evidente e contribuito a delineare in forme in larga misura inedite. Si tratta di porre a tema quello che nel pensiero politico e giuridico del Novecento si è definito come il "potere istituente della necessità". L'ipotesi che la ricerca intende esaminare nelle sue ricadute filosofico-politiche è che uno stato di grave crisi che rende di fatto impossibile osservare le norme giuridiche vigenti - quel che in filosofia politica si definisce "stato di eccezione" - non comporti necessariamente una sospensione dell'ordine giuridico e una conseguente fuoriuscita dal quadro della legalità. All'opposto, la crisi chiama in causa e sviluppa pratiche che, seppure nuove ed emergenti, non sono in cesura con lo stato di normalità che imprevedibili circostanze esterne (una pandemia, una crisi dei mercati finanziari, un terremoto, una minaccia terroristica) impongono di restringere o sospendere.
Di contro a quanti ritengono che lo stato di eccezione costituisca un'irrimediabile rottura con l'ordine che si restringe o si sospende, con ciò esponendo l'ordinamento giuridico al potenziale destabilizzante dell'arbitrio politico, l'ipotesi che qui si avanza è che tale stato determini invece il passaggio a un diverso tipo di legalità: da una legalità derivata, che generalmente si concreta in un insieme di leggi e regolamenti attuativi, a una legalità originaria, sempre interna all'ordinamento, di cui la prima costituisce il momento attuativo. Tale legalità originaria ha nella necessità la sua fonte normativa. La tesi innovativa che questa ricerca intende avvalorare è che il potere istituente della necessità sia tutto interno all'ordinamento, il quale quindi non ne risulta stravolto, sospeso o addirittura assicurabile solo in forza di misure che rompono con la legalità e che si profilano come eversive o sovversive rispetto all'ordine dato.
La ricerca pone in relazione due questioni di centrale rilevanza del dibattito contemporaneo negli ambiti della filosofia politica e della teoria del diritto. Da un lato, la gestione di contesti di crisi dell'ordine normativo che spesso assurgono a veri e propri stati di eccezione. Dall'altro, l'emergere dal basso di contesti di interazione interni al sociale, i quali, nonostante il loro carattere in origine informale, risultano di fatto in grado di regolare ambiti che la legislazione ordinaria, nei periodi di crisi richiamati, non risulta in condizione di normare. Si tratta dunque di stabilire una connessione tra due questioni che la letteratura intende come in larga parte irrelate, in modo tale da fornire una risposta più adeguata al problema dello stato di eccezione e del suo necessario superamento. Tale problema vede opporsi i due fronti antitetici richiamati nella sezione precedente, rispetto ai quali si intende qui indicare una terza via.
Il confronto/scontro tra i due fronti qui in discussione verte su una questione fondamentale, che può essere ritradotta nei seguenti termini: al di là della regolazione legislativa (che lo stato di crisi rende momentaneamente inosservabile), esiste una fonte di diritto, sovraordinata rispetto alla legislazione ordinaria ma al contempo interna all'ordinamento, che fondi e legittimi l'eventuale ricorso a provvedimenti eccezionali e "contra legem"? Per ragioni diverse, i due fronti richiamati rispondono negativamente: il fronte eccezionalista perché ritiene sì pensabile una fonte di diritto sovraordinata, ma la colloca fuori dell'ordinamento; il fronte legalista perché ritiene sì pensabile una fonte di diritto interna all'ordinamento, ma la intende come fattispecie regolativa interamente riconducibile alla legislazione ordinaria. A fronte di queste due posizioni, che riteniamo parziali e inadeguate (pur, come detto, per motivi opposti), crediamo possibile e opportuno identificare una terza via, che abbia i suoi due assi portanti nel concetto di necessità declinato in chiave giuridica e nelle potenzialità auto-regolative del sociale. La necessità si rivela fonte di diritto sovraordinata rispetto alla legislazione ordinaria, ma al contempo interna all'ordinamento. Le potenzialità auto-regolative del sociale, per parte loro, fanno sì che l'interregno tra la vigenza dell'ordine costituito, che lo stato di crisi ha reso ineffettuale, e il re-instaurarsi di un ordine assicurabile tramite legislazione ordinaria non si configuri né come un vuoto giuridico da riempire in forme decisionistiche (come prospettato dall'eccezionalismo) né come uno stato di anarchia cui la legislazione ordinaria sia chiamata a far fronte (come prospettato dal legalismo).
In realtà tale interregno - questa la nostra ipotesi - risulta retto e orientato da una serie di pratiche sociali che gli interagenti spontaneamente adottano, e sin da subito, proprio per ovviare all'inefficacia delle forme di regolazione che lo stato di crisi rende ineffettive. Un simile substrato interazionale, che emerge in tutte le sue potenzialità istituenti al venir meno dell'ordine istituito, risulta essenzialmente giuridico per due ordini di motivi, i quali a loro volta contribuiscono a prevenire ogni eventuale deriva in chiave eversiva o sovversiva. In primo luogo, esso mira a realizzare gli stessi identici fini della legislazione vigente, ancorché momentaneamente inoperante. In secondo luogo, esso si rende concretamente effettivo solo allorché le pratiche che ne sono a fondamento vengono razionalizzate e riconosciute dallo Stato, al quale forniscono sì un potenziale regolativo altrimenti inottenibile, ma senza alcuna possibilità (né volontà) di prescindere dalle risorse operative di cui solo esso dispone.
Il carattere innovativo della ricerca risiede pertanto nell'integrare e far reagire due linee di analisi (il carattere giuridico della necessità e il potenziale ordinamentale di pratiche sociali spontanee) che permettono la messa a fuoco di un fenomeno eclatante della politica contemporanea, qual è quello degli stati di crisi (o di eccezione). Rispetto alla falsante e riduttiva dicotomia/opposizione tra sfera giuridica e sfera politica, riteniamo che la valorizzazione in chiave teorica e operativa del potenziale istituente interno al sociale possa dar conto in forme più realistiche e normativamente spendibili del modo in cui uno stato di crisi viene in concreto affrontato e superato anche in assenza di disposizioni di legge (ordinaria) effettivamente operanti. Parimenti innovativo risulta, nella prospettiva che qui si propone, il ruolo dei destinatari dei provvedimenti di emergenza. Costoro, infatti, risultano non più recettori passivi di prescrizioni emergenziali, approntate in ambiti e secondo logiche estranei alla dimensione interazionale che essi abitano, bensì quali creatori di nuove pratiche sociali di cui i poteri pubblici si fanno poi carico, sussumendole e coordinandole in una più ampia cornice istituzionale.