Negli ultimi due decenni, il tema della legislazione di emergenza è riemerso con nuovo vigore nel dibattito filosofico-politico, soprattutto, ma non solo, in relazione alla guerra al terrorismo e alla pandemia da COVID-19. La legislazione di emergenza è tale per cui l¿azione del Governo può aggirare alcuni dei vincoli propri dello stato di diritto. La presente ricerca guarda al recentissimo dibattito per proporre una via d¿uscita alla contrapposizione rigida tra eccezionalismo e anti-eccezionalismo. L¿eccezionalismo è quella prospettiva secondo cui l¿azione del potere emergenziale non può essere valutata con il metro della giustizia ordinaria. A esso si contrappone la prospettiva opposta, secondo cui anche le emergenze devono essere subordinate a un rigorosissimo principio di legalità. Mediante una nuova esegesi delle fonti teoriche dell¿eccezionalismo, la ricerca mostrerà in primo luogo che anche i difensori più noti dell¿eccezione si sono sempre dimostrati diffidenti rispetto a tale strumento di governo. Sulla scorta di quest¿analisi, si cercherà di capire quale modello di politica democratica possa essere più adatto alla gestione delle crisi, là dove queste richiedono decisioni spedite ed efficaci. La ricerca metterà a confronto due modelli di gestione democratica delle emergenze: sostanzialista vs. costituente. Il primo insiste sulla difesa di alcuni, limitati modelli di vita comunitaria, imperniati su un novero ristretto di principi e valori. Secondo tale modello, il miglior modo per governare le emergenze è dopoliticizzarne la portata e assicurare una omogeneità sostanziale del popolo, che ne assicuri la spontanea conformità alle decisioni prese dall¿amministrazione. Il secondo individua nelle emergenze l¿occasione di rivedere, in senso migliorativo, l¿ordinamento dello Stato, utilizzando procedure apposite che consentano ai rappresentanti della cittadinanza di porre rimedio ai limiti della legislazione ordinaria messi in evidenza dalla crisi in atto.
La ricerca si colloca su un terreno in grande espansione, soprattutto considerato il ricorso sempre più massiccio alla legislazione di emergenza da parte dei Governi di molti Stati per gestire crisi politiche, ecologiche, sanitarie e di altra natura. Anche nei Paesi di più consolidata tradizione democratica, l¿emergenza si sta profilando come una condizione sempre più frequente. In ragione di ciò, la letteratura, molto viva nei primi anni del secolo, fa registrare una nuova e vigorosa spinta. La ricerca che qui si presenta aspira ad aprire nuovi spazi di riflessione, sia attraverso un¿interpretazione innovativa delle fonti del pensiero eccezionalista, e in particolare della proposta del più noto teorico dell¿eccezione, Carl Schmitt, sia mediante una riconcettualizzazione della condizione di emergenza, che non può essere ridotta all¿idea per cui la sicurezza presuppone una deroga dallo stato di diritto a tutto vantaggio di un potere supremo, benché transitorio. Queste due linee d¿indagine mirano ad avanzare la teoria di una democrazia sorgiva e costituente, capace di rivedere i limiti dei regimi costituzionali mettendo a frutto la sfida che viene lanciata dalle crisi. Uscire dalle secche del dibattito tra ¿eccezionalisti¿ e nemici dell¿eccezionalismo consente di rispondere alla critica secondo cui la democrazia liberale non riesce a pensare l¿eccezione. All¿opposto, occorre distinguere in modo più accurato e chiaro tra emergenza ed eccezione, per indicare come la prima non presupponga uno stato di eccezione, una condizione cioè in cui la legge perde di efficacia.
In tale contesto, alla luce di un nuovo inquadramento esegetico del pensiero schmittiano e in forza della mobilitazione del concetto habermasiano di democrazia discorsiva ¿ prendendo i due autori come massimi ma non esclusivi rappresentanti di fronti più ampi e articolati ¿ si metteranno a confronto due concezioni apposte della democrazia in tempi di emergenza: quella sostanzialista, difesa da Schmitt, e quella costituente e procedurale, che si vorrà giustificare nell¿ambito di questo progetto. La riflessione su come gestire le crisi di ampia portata, senza derogare dai vincoli costituzionali, infatti, è intimamente connessa alla questione di quale sia il baricentro della democrazia in tempi di normalità e quali risorse essa metta a disposizione in tempi di crisi. Una democrazia illiberale, come quella che scaturisce dal modello schmittiano, non solo non è davvero in grado di prevenire le crisi, ma rischia di soffocare le spinte innovatrici del sociale, che costituiscono la risorsa principale per la costante rivitalizzazione dei meccanismi democratici. Il modello difeso in questo progetto, all¿opposto, insiste sul bisogno di procedure solide, ancorate alla Costituzione, eppure capaci, entro limiti precisi e in tempi rapidi, di utilizzare l¿emergenza in senso costruttivo, funzionale al consolidamento della tenuta ordinamentale. Pertanto, l¿opposizione tra il modello della prerogativa lockiana e il rigido proceduralismo kantiano, per riprendere una distinzione classica e ancora attuale, cede il passo a momenti circoscritti di revisione partecipata dell¿ordinamento. Nell¿aspirazione di chi scrive, questa proposta sarà in grado di dare nuova vita a un dibattito nazionale e internazionale, a carattere interdisciplinare, su come immaginare quella che potrebbe definirsi una ¿democrazia della crisi¿.