Il progetto intende indagare il tema della pittura a chiaroscuro così come sviluppato dalla teoria artistica tra Cinque e Seicento anche attraverso la produzione pittorica contemporanea, analizzata da un punto di vista storico-critico. Studi recenti hanno rilevato un'evidente relazione esistente tra la pittura a chiaroscuro del XVI secolo e il concetto vasariano di Disegno, mettendo in discussione il consolidato paradigma critico che aveva interpretato questa tecnica esclusivamente come frutto dell'entusiasmo rinascimentale nei confronti dell'arte classica e finalizzata unicamente alla riproduzione dei rilievi antichi. Tali risultati hanno permesso di ricollocare la pittura a chiaroscuro all'interno di una più ampia concezione estetica che risente fortemente delle discussioni che animavano il dibattito teorico sull'arte. Alla luce di questi nuovi esiti, il progetto mira a verificare se sia possibile una simile rilettura, svincolata da un'interpretazione strettamente connessa alla passione antiquaria, anche per la produzione a chiaroscuro del secolo successivo. Al fine di raggiungere tale obiettivo, la ricerca si propone di passare in rassegna le fonti della letteratura artistica prodotte tra il XVI e il XVII secolo, mettendole in relazione con la contemporanea produzione artistica così da chiarire le eventuali reciproche implicazioni. Particolare attenzione sarà dedicata, oltreché alla pittura, anche alle altre forme di espressione artistica che si caratterizzano per l'uso del chiaroscuro, tra le quali sono da annoverare le incisioni e gli apparati effimeri. Fine ultimo del progetto è quello di colmare una significativa lacuna presente negli studi dedicati alla monocromia, elaborando una storia critica del chiaroscuro tra Cinquecento e Seicento e chiarendo le implicazioni teoriche che sottendevano la scelta di avvalersi di questo genere di rappresentazione, caratterizzato dalla rinuncia al colore, per la realizzazione di opere d'arte.
Gli studi condotti finora hanno progressivamente contribuito a chiarire lo sviluppo, tanto pratico quanto teorico, delle tecniche chiaroscurali (pittura, disegno e incisioni a chiaroscuro) tra Quattrocento e Cinquecento. Alcuni studi sono stati dedicati anche alla riscoperta della monocromia in seno all'estetica neoclassica e si è potuto così chiarire come l'uso del chiaroscuro fosse, in quest'ambito, strettamente funzionale alla creazione di finte sculture d'ispirazione antica ("Antonio Canova. Monocromi e disegni", 1951; "Canova. Il segno della gloria", 2013; Leone 2016). All'interno di questo panorama di studi si registra una sostanziale lacuna che interessa sia alcuni aspetti dell'arte a monocromo del Cinquecento che l'intera produzione del Seicento. Il progetto presentato ha l'intento di esplorare questi contesti meno indagati per chiarire definitivamente l'intera parabola dell'arte del chiaroscuro tra XV e XVIII secolo.
La messa a fuoco dell'ambito cinquecentesco veneziano consentirà di fare luce su due punti fondamentali. In primo luogo, fare chiarezza sulla funzione attribuita al chiaroscuro dai teorici veneti permetterà di aggiungere un tassello importante agli studi sulla disputa tra il Disegno fiorentino e il colorito veneziano che, ancora oggi, vede gli studiosi opporsi su differenti fronti (Rosand 1971; Freedberg 1980; Puttfarken 1991; Hochmann 2004; Id. 2015). Il secondo interrogativo a cui si potrà dare risposta è quello dell'eventuale esistenza - come già rilevato per Roma (Latella 2018) - di una continuità in senso evolutivo tra l'uso della monocromia con valore meramente antiquario del XV secolo e quello del XVI secolo. Sarà possibile chiarire, dunque, se i chiaroscuri realizzati a Venezia tra Cinque e Seicento, nascano come conseguenza di quelli del Tardo-Rinascimento romano o se, invece, presentino delle caratteristiche del tutto autoctone legate ai precedenti di Mantegna. Di conseguenza, si affronterà anche la questione della fortuna avuta da Polidoro da Caravaggio (1499 ca. - 1543), massima espressione della pittura a chiaroscuro cinquecentesca, in territorio veneto; fortuna che ha portato alcuni ad ipotizzare un tirocinio dell'artista presso Giorgione (Gnann 1997). Nonostante, infatti, la teoria di matrice vasariana tenda a presentare Polidoro come l'emblema delle posizioni tosco-romane sull'arte, da una prima analisi dei testi veneti emerge una tendenza a considerare Polidoro come artista assai vicino allo stile veneziano. Lomazzo, ad esempio, rilevava forti somiglianze tra l'arte del bergamasco e quella di Tiziano ("Trattato", 1584); mentre Ridolfi affermava che «la maniera - di Polidoro - si approssimava allo stile veneziano». Sciogliendo il nodo critico del rapporto Polidoro-Venezia, rimasto sostanzialmente irrisolto dagli studi (Marabottini 1969; Ravelli 1978; Gnann 1997; Leone De Castris 2001), si potrà chiarire un aspetto nei confronti del quale la critica ha mostrato scarso interesse fino a questo momento, vale a dire l'influenza esercitata dalle facciate dipinte romane su tutta la produzione a monocromo successiva; aspetto quest'ultimo che alla teoria artistica del secondo Cinquecento appariva già ben chiaro. Vasari, Armenini e Federico Zuccari, infatti, insistono ampiamente sulla possibilità di concepire i chiaroscuri delle facciate come opere fondamentali a cui guardare per la buona formazione di un pittore (Pierguidi 2011). Il chiarimento di questa problematica permetterà di capire, inoltre, se il chiaroscuro secentesco presenti caratteristiche del tutto peculiari o se sia, invece, fortemente debitore di quanto precedentemente era stato affrescato sui prospetti romani. L'analisi parallela che si condurrà sulla letteratura e sulle opere d'arte a chiaroscuro del XVII secolo permetterà, oltreché di verificare se l'uso delle tecniche chiaroscurali debba essere inteso in relazione ai dibattiti teorici sviluppatisi nel corso del secolo, così come ipotizzato per il Cinquecento, anche di elaborare uno studio del tutto inedito sulla monocromia secentesca.
Inoltre, l'attenzione dedicata alla produzione grafica, tanto cinquecentesca quanto secentesca, permetterà di testare quanto sia fondata la posizione di Vasari ("Le Vite", 1550) il quale sembra considerare tra loro interdipendenti le diverse tecniche da lui definite «a chiaro scuro». L'aretino, infatti, introduce il lettore a quella che potrebbe oggi essere definita come "un'intermedialità ante litteram", evidenziando la capacità delle tecniche chiaroscurali di trasformarsi l'una nell'altra quasi senza soluzione di continuità. La ricerca chiarirà, infatti, quali sono i rapporti che intercorrono tra le diverse tecniche a monocromo e se esse possano essere considerate tutte come il frutto di una riflessione estetica che evidenzia il ruolo centrale del disegno, della luce e delle ombre a prescindere dal dato cromatico.