Anno: 
2018
Nome e qualifica del proponente del progetto: 
sb_p_1117695
Abstract: 

In seguito all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, il problema della determinazione dell'ambito soggettivo di efficacia delle sentenze pregiudiziali della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE), già oggetto di ampia elaborazione dottrinale in passato, è tornato di grande attualità. Ciò si deve al sostanziale silenzio dei Trattati istitutivi - il Trattato sull'Unione europea e il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea - sul punto, nonostante i tentativi di riforma che hanno preceduto la loro adozione. Silenzio che appare particolarmente significativo se rapportato alle precise indicazioni normative ricavabili invece dai Trattati rispetto ad altre categorie di pronunce della CGUE, quali in particolare le sentenze di annullamento degli atti delle istituzioni dell'UE (artt. 264 e 266 TFUE) e le sentenze di accertamento delle violazioni del diritto dell'UE da parte degli Stati membri (art. 260 TFUE).
Il problema si pone in particolare con riguardo alla posizione in cui versano le autorità giudiziarie e amministrative di uno Stato membro diverso da quello cui appartiene il giudice del rinvio: occorre comprendere se ed eventualmente a che titolo e in che misura tali autorità siano tenute a uniformarsi a una sentenza pregiudiziale resa dalla Corte nei confronti di un giudice di un altro Stato membro.
Diversamente da quanto teorizzato dalla dottrina tradizionale - che tende a ricostruire un ambito di efficacia unitario per tutte le sentenze pregiudiziali o, al più, a distinguere tra sentenze di interpretazione e sentenze di validità, riprendendo lo schema contenuto nell'art. 267, par. 1, TFUE - la ricerca qui proposta, muovendo da alcune recenti pronunce della CGUE, si informa a un approccio di tipo funzionale, che guarda a ogni singola sentenza pregiudiziale resa dalla Corte, valorizzandone la specifica funzione svolta, la specifica finalità perseguita, nonché la natura e l'oggetto.

ERC: 
SH2_4
Innovatività: 

Il problema dell'efficacia soggettiva delle sentenze pregiudiziali non ha trovato in dottrina una soluzione unica, ma ha dato luogo alla formulazione di varie teorie, assai diverse l'una dall'altra. Si va dall'efficacia circoscritta al solo giudice a quo, all'efficacia erga omnes de iure, all'efficacia erga omnes de facto. La grande varietà degli orientamenti consente di distinguere diverse posizioni anche nell'ambito della medesima teoria. Tuttavia, ciascuna di esse soffre di aporie che non consentono di condividerle fino in fondo. Tra queste spicca il tentativo di ricercare soluzioni unitarie, rilevanti per le sentenze pregiudiziali in blocco, ovvero, in alternativa, di ricercare soluzioni diversificate per le sentenze di invalidità, da un lato, e le sentenze di interpretazione, dall'altro. Tuttavia, il fenomeno appare più complesso di come lo si tende a rappresentare.
La ricerca qui proposta intende avanzare una ricostruzione diversa, che porti a tracciare distinzioni nuove e ulteriori, e muove da alcune recenti pronunce rese ad altri fini dalla CGUE. Essa tenderà a dimostrare come lo studio dell'efficacia soggettiva delle sentenze pregiudiziali debba informarsi a una prospettiva di tipo funzionale, che valorizzi la funzione svolta e la finalità perseguita da ciascuna sentenza emanata dalla CGUE ai sensi dell'art. 267 TFUE. Ogni singola sentenza appare godere di una propria sfera di efficacia, che dipende da un complesso di fattori: la natura, l'oggetto, la funzione e la finalità.
In questo senso, gli aspetti di più stretta attualità riguardano l'efficacia delle sentenze pregiudiziali nei confronti di giudici diversi dal giudice a quo, oltre che nei confronti delle amministrazioni nazionali e delle istituzioni dell'UE. Militano in tale direzione: a) elementi formali (ai termini dell'art. 267 TFUE, la CGUE «è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale», il che assoggetta il giudice a quo alla CGUE); b) le finalità perseguite dall'art. 267 TFUE: l'uniforme interpretazione e applicazione del diritto dell'UE è garantita solo se i giudici richiedenti si conformino alle sentenze; c) l'obbligo statale di leale cooperazione con l'UE, stabilito dall'art. 4, par. 3, TUE, da cui discende l'obbligo dei giudici nazionali - in quanto organi statali - di garantire l'effettiva applicazione del diritto europeo e la tutela delle posizioni individuali da questo derivanti; d) la giurisprudenza della CGUE: da tempo ha affermato il carattere obbligatorio delle sentenze pregiudiziali nei confronti del giudice a quo, quanto all'interpretazione e alla validità degli atti delle istituzioni dell'UE, ai fini della definizione della lite principale (sentenza del 3 febbraio 1977, causa 52/76, Benedetti).
Partendo dalla natura, l'interprete è chiamato ad accertare, rispetto a ciascuna sentenza, se essa costituisca l'esercizio della competenza pregiudiziale di interpretazione o di validità. Passando alle finalità, vanno tenuti distinti i casi in cui la CGUE sia chiamata a precisare il significato e il contenuto di disposizioni del diritto europeo in prospettiva immediatamente applicabili nel giudizio a quo, dai casi di interpretazione di disposizioni del diritto europeo in funzione del successivo giudizio di compatibilità europea di disposizioni nazionali rilevanti per il processo a quo. L'oggetto poi rileva per via dell'ampiezza e della varietà delle disposizioni del diritto europeo suscettibili di ricadere nella competenza pregiudiziale della CGUE. Più precisamente, va considerata la portata, generale o particolare, della disposizione oggetto del sindacato della CGUE. Infine, quella tra le funzioni della competenza pregiudiziale maggiormente valorizzata da chi associa alle sentenze che ne costituiscono l'esercizio effetti esorbitanti il giudizio a quo sta nel ruolo della CGUE rispetto all'esigenza di garantire l'uniforme e corretta applicazione del diritto dell'UE all'interno degli Stati membri. Tuttavia, questa funzione non va esasperata. Nessun ordinamento giuridico appare in grado di raggiungere il tasso di uniformità che si suole riconnettere all'art. 267 TFUE, se per uniformità s'intende qualcosa di più profondo della coerenza dell'ordinamento. L'uniformità non può costituire la principale preoccupazione della CGUE. Non può quindi escludersi che quest'ultima sia mossa piuttosto dal timore che il diritto europeo non venga affatto applicato nei giudizi interni. La pretesa all'uniformità serve alla CGUE per giustificare il proprio intervento in casi di minore importanza per l'ordinamento dell'UE. Un simile intervento non mira all'uniformità, ma al primato del diritto europeo.
L'approccio funzionale allo studio dell'efficacia delle sentenze pregiudiziali - riproponendosi di guardare a ogni singolo provvedimento, anziché ragionare per categorie - è in grado di provocare ripercussioni di non poco momento con riguardo all'individuazione dei soggetti chiamati a rispettarle e alla misura dell'osservanza richiesta.

Codice Bando: 
1117695

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