Le città italiane, che hanno un profilo urbano nettamente definito, hanno risposto al processo di trasformazione in aree metropolitane in maniera contraddittoria e complessa. Analizzando il caso romano appare evidente come, sin dagli anni Sessanta, accanto alla persistenza di caratteri di tipo tradizionale si sia fatta strada, secondo percorsi abbastanza difficili da anlizzare e da comprendere, tutta una serie di altri filoni di crescita che ne hanno alimentato lo sviluppo sia economico che territoriale.
Ci troviamo oggi davanti ad un processo di sviluppo che ha consentito all'area metropolitana romana di tenersi agganciata con la crescita del resto del paese e di incubare al suo interno un settore manifatturiero che ha oggi una rilevanza di carattere nazionale e internazionale. Settore aerospaziale, farmaceutico, ITC sono i settori di punta di uno sviluppo che ha una dimensione regionale che è in gardo di confrontarsi con le principali zone economiche del paese.
Il nostro intento è quello di quantificare lo sviluppo della città, descriverne le cadenze storiche, mappare i processi di sviluppo e le interconnessioni con le la "corona" esterna della metropoli.
In secondo luogo indagare come si qualifica oggi l'immagine di Roma, come si inserisce nello sviluppo nazionale, con quali carte si porta avanti il confronto culturale, sociale, politico, con le aree del paese che stanno correndo più velocemente sulla scena nazionale e internazionale. La dimensione e il ruolo dell'housing sociale possono costituire un utile indicatore su come l'area metropolitana romana si sta qualificando nel contesto delle trasformazioni socio-territoriali del paese.
Abbiamo già accennato ai caratteri innovativi che intendiamo dare alla nostra ricerca. Nell¿analisi dello sviluppo territoriale e urbanistico della città di Roma, nonostante vi siano molti contributi, alcuni dei quali frutto dell¿attività di ricerca di studiosi di grande levatura scientifica, permane una visione della città caratterizzata da una pubblica amministrazione parassitaria e sprecona. La città cresce ma solo per fornire gli alloggi che sono necessari per i burocrati che si trasferiscono a Roma per esigenze di carriera. Quindi alloggi per una classe dirigente orientata a beneficiare delle prebende pubbliche e molto lontana da progetti di promozione di attività produttive.
Quando, negli anni Sessanta del secolo scorso, Ferrarotti pubblica il suo studio ¿Roma da capitale a periferia¿, per la prima volta ci troviamo davanti ad uno studio globale che si pone il problema di cercare di leggere secondo quali dinamiche territoriali si insediano nella città i gruppi di immigrati che affluiscono dalle varie regioni del paese. Ferrarotti è il primo a notare che la capitale comincia a crescere secondo un modello contro intuitivo. Chi viene da Sud si insedia nel lato Sud della città, ci viene dall¿interno si insedia nel lato Ovest, chi viene dalla Tuscia o dalle regioni del settentrione si insedia nel Nord della città.
Inizia da qui quel assommarsi di strati successivi che si vengono via via accumulando dando luogo a degli agglomerati interclassisti che sono tipici della capitale. Non vi sono quartieri omogenei che attraggono ceti sociali chiaramente individuabili. Solo aree molto piccole possono vantare una precisa identificazione di classe. Parioli, Testaccio, Garbatella, Prati sono forse le sole aree che presentano una certa omogeneità sociale. Ma se appena si allargano le unità di analisi, anche senza arrivare al livello Municipale, si scopre che ovunque regna l¿interclassismo, e che ogni modello che si prova a definire alla fine risulta inutilizzabile.
Quindi in definitiva l¿interclassismo ci sembra la prima caratteristica dell¿area metropolitana romana. Evidentemente occorre vedere se questo modello regge per i nuovi quartieri, quelli sui quali si è concentrato lo sviluppo negli ultimi anni, e nel corso dei quali l¿immigrazione non è più caratterizzata dagli impiegati pubblici quanto piuttosto dalle attività manifatturiere del polo industriale romano. Il secondo elemento che ci pare tipico del caso romano è la crescita, di nuovo interclassista, ma non burocratico-parassitaria, che ha investito l¿ultimo trentennio del Novecento ed il primo ventennio del nuovo secolo. Si tratta di un periodo storico che è stato caratterizzato dalla retorica dell' eterna ¿crisi¿ ma che invece ha visto, come oggi si vede molto bene, lo sviluppo di un settore manifatturiero estremamente avanzato.
Si è a lungo sottovalutata questa crescita dicendo che era imputabile agli investimenti della Cassa del Mezzogiorno, ed aveva quindi un carattere assistito che non avrebbe retto alla prova del mercato. In realtà la fine degli aiuti della Cassa ha mandato in crisi molte imprese determinando un processo di deindustrializzazione che ha fatto perdere migliaia di posti di lavoro. Ma l¿enfasi su questi fenomeni, che non possono essere certo sottovalutati, ha impedito di vedere l¿emergere di un settore manifatturiero estremamente avanzato tecnologicamente, che è collegato su scala multinazionale ed è incardinato su di un processo di innovazione tecnologica che ha un carattere strutturale. Farmaceutico ed ingegneria medicale, logistica, aereonautica ed esplorazione aero spaziale, armamenti e sistemi avanzati di punteria, audiovisivo e telecomunicazione, moda e arte, agroindustriale e prodotti tipici e così via: l¿elenco può essere molto lungo ed anche sorprendente.
Questo ¿nuovo¿ modo di guardare allo sviluppo della città può fornire non soltanto molti utili elementi interpretativi che ci facciano comprendere le dinamiche dello sviluppo ma, soprattutto, può far individuare proposte che siano maggiormente aderenti alle esigenze delle forze sociali ed economiche che danno vita all¿area metropolitana nel suo complesso.
La ricerca è quindi innovativa nel senso che può aiutare a rompere le incrostazioni localistiche e tradizionaliste che sono molto presenti nel dibattito pubblico. Roma è una grande capitale che vede se stessa come una piccola città di provincia, come se dovesse confrontarsi con Frosinone o con Viterbo, o al massimo con Milano. Una città, tanto per fare un esempio, che non riesce a vedere nel dualismo con Milano un fattore di ricchezza e di forza. Una città che non ha ancora chiara la percezione del livello di concorrenza, soprattutto per il conseguimento dei grandi investimenti finanziari e immobiliari, fra le grandi aree metropolitane del continente europeo.