Un vasto ambito della ricerca è dedicato alla comprensione dei meccanismi eziopatogenetici della neurodegenerazione nella Malattia di Parkinson-MP, formulando la recente condivisa ipotesi che la malattia sia il risultato di complicate interazioni multifattoriali, ambientali e genetiche; nessuna teoria tuttavia ne soddisfa la complessità patologica e clinica. Ampia rilevanza assume lo studio di fattori di suscettibilità genetica sospettati predisporre a neurodegenerazione; alcuni profili di polimorfismo genetico potrebbero avere un ruolo nel definire diversi sottotipi di MP. Il polimorfismo Val66Met del gene BDNF, responsabile di ridotta espressione genica e affinità recettoriale, è stato supposto in relazione a suscettibilità a degenerazione del SNC, compresa la retina. Ridotti livelli plasmatici della neurotrofina sono stati recentemente descritti nei parkinsoniani. Non sono disponibili biomarkers diagnostici precoci; alcuni sintomi non motori, ritenuti ora parte integrante del quadro clinico, meritano particolare attenzione in quanto presenti in fase premotoria, per degenerazione precoce di aree extrastriatali anche non dopaminergiche. La descrizione di un ampio range di disfunzioni visive (acuità, contrasto, colori) ha fatto supporre una alterazione degli strati dopaminergici retinici. La questione della degenerazione retinica nella MP, descritta in studi neuropatologici di esigua numerosità, lascia aperti ampi contradditori.
Endpoint primario: esplorare l'associazione del polimorfismo Val66Met del BDNF con sviluppo di modificazioni morfofunzionali retiniche, valutate mediante OCT, in soggetti con MP in diversi stadi di malattia (de novo-drug-naive, fase avanzata in terapia dopaminergica) e in controlli sani
Endpoint secondari:
-relazione tra assetto genico e variabili cliniche motorie e non motorie (cognitive, psichiche, sonno)
-valutazione di specifici parametri neurofisiologici (PEV, ERG) e psicofisiologici (registrazione Event-Related Potentials - ERPs)
La Malattia di Parkinson (MP) è una malattia neurodegenerativa cronica e progressiva caratterizzata da un quadro sintomatologico eterogeneo e complesso. Un vasto ambito della ricerca di base e clinica è stato dedicato alla comprensione dei meccanismi eziopatogenetici di tale degenerazione, giungendo alla ipotesi condivisa che la malattia sia il risultato di complicate interazioni multifattoriali, ambientali e genetiche. L'età rappresenta il principale fattore di rischio noto della forma comune di malattia, quella sporadica; considerando aumento delle aspettative di vita e invecchiamento globale della popolazione, prevalenza ed incidenza di malattia avranno in futuro considerevoli ripercussioni in termini di salute pubblica. Sono stati esplorati una varietà di fattori di rischio ipotetici di malattia, ambientali e genetici; l'evidenza di quadri clinici di parkinsonismo in soggetti esposti a sostanze neurotossiche ambientali, e l'individuazione di rare forme legate a alterazione monogenica, hanno sostenuto la comprensione di specifici target di neurodegenerazione. Nessuna teoria attualmente ne soddisfa tuttavia la complessità neuropatologica e clinica. Nel contesto dell'interazione gene-ambiente, ampia rilevanza ha assunto il recente studio di fattori di suscettibilità genetica, associati a predisposizione a patologie neurodegenerative. Un vasto spazio è stato dedicato alla ricerca di particolari profili di polimorfismo genico, che potrebbero rivestire un ruolo associato nella complessa fenomenologia di malattia. Non sono disponibili biomarkers non invasivi che ne rendano possibile una accurata diagnosi in fase molto precoce, prima che si evidenzi la disfunzione motoria; essi avranno un ruolo fondamentale quando sarà disponibile una terapia neuroprotettiva. Soprattutto la complessità del quadro sindromico non motorio ed il rilievo di segni precoci di degenerazione extrastriatale hanno aperto ampie speculazioni sulla possibilità di diagnosi precoce. Tra i sintomi non motori, il range di disturbi visivi descritti (acuità visiva, sensibilità a contrasto, discriminazione colori), ha fatto supporre una precoce alterazione degli strati dopaminergici retinici; la questione della degenerazione retinica, con riscontro di sinucleinopatia documentata nell'uomo solo in studi neuropatologici di scarsa numerosità lascia aperti ampi contraddittori. È evidente che lo studio in vivo della retina necessita di strumenti altamente sensibili che ne possano caratterizzare morfologia e funzionalità. A tale riguardo l'utilizzo nel nostro studio di un esame di imaging retinico mediante OCT ad alta risoluzione, con algoritmi di scansione e segmentazione dei 7 segmenti retinici a livello maculare, può fornire maggiori potenzialità all'analisi strutturale. Gli esami neurofisiologici di funzionalità della via visiva (potenziali visivi e elettroretinogramma), e potenziali cognitivi (ERPs), offriranno rispettivamente misura delle performance visive di specifiche popolazioni cellulari (percezione contrasto, colore, luminosità) e valutazione della associatività corticale. Elemento assolutamente innovativo dello studio è la valutazione concomitante dell'assetto del polimorfismo del gene BDNF, che esprime una neurotrofina essenziale per il sistema nervoso; tale caratterizzazione potrebbe fornire un elemento associato di suscettibilità a degenerazione retinica nella MP. Allo stato attuale, il ruolo del polimorfismo BDNF su modificazioni retiniche nella MP non è stato indagato. Tale aspetto consentirà di far luce sulla ampia variabilità, nei pazienti, di segni di alterazione strutturale e funzionale della via visiva. Inoltre, lo studio di soggetti con MP precoce, a prima diagnosi e drug-naive e in diversi stadi di malattia, consentirà di rilevare la precocità di eventuali modificazioni morfofunzionali retiniche evitando possibili bias legati all'effetto di trattamenti dopaminergici. La caratterizzazione strutturale e funzionale in stadi più avanzati di malattia permetterà di confermare se la degenerazione retinica accompagni la progressione del deterioramento clinico e correli con la severità dello stesso, e/o se tale aspetto risenta in particolare della variabilità individuale del polimorfismo del BDNF. Infine, la precoce evidenza di interessamento della via visiva, in associazione ad elementi di suscettibilità genica quale il polimorfismo di un importante fattore neurotrofico come il BDNF, offrirà spunti rilevanti per la ricerca di candidati biomarker oggettivi e precoci rispetto alla deplezione dopaminergica nigrostriatale, oltre che nel monitoraggio di progressione di malattia. Le evidenze che emergeranno dallo studio, da considerare comunque con estrema cautela, considerata l'alta complessità di variabili in gioco nella malattia, senza dubbio potranno fornire un sostanziale contributo definendo un valido strumento di approccio alla diagnosi del globale quadro sindromico di malattia e spunto di ragionamento per future terapie.