Al di là delle dovute e necessarie considerazioni circa le ragioni tecniche e le esigenze estetiche che sconsigliano o viceversa suggeriscono l¿uso di materiali moderni nel restauro dei monumenti, la ricerca mira soprattutto a valutare il rapporto esistente tra gli orientamenti concettuali e le scelte operative, dalla fine dell'Ottocento ai primi decenni del Novecento (tenendo nel debito conto le anticipazioni e i successivi sviluppi).
L¿arco di tempo preso in considerazione va dall¿affermarsi dei postulati del minimo intervento, della distinguibilità-notorietà e della reversibilità, che hanno incidenza notevolissima sulla pratica del restauro, all'ufficializzazione dell¿impiego di materiali e tecnologie moderne sancita dalle Carte del restauro, negli anni Trenta del Novecento.
I documenti accolgono l'uso dei materiali moderni, riferendolo esplicitamente alle opere di consolidamento e aggiungendo raccomandazioni categoriche circa la dissimulazione dei mezzi di rinforzo per non alterare l¿aspetto e il carattere dell'edificio (Carta di Atene - 1931), o, in alternativa, il ricorso a soluzioni formali semplificate e rispondenti allo schema costruttivo (Carta italiana del restauro - 1932).
Gli enunciati delle carte sottendono, quindi, la distinzione tra struttura e forma che dà vita, nel concreto operare, ad interventi di consolidamento con materiali nuovi dissimulati.
Sebbene questa sia la pratica prevalente non mancano alcune soluzioni anticipatrici in cui i materiali moderni acquistano valenza figurativa.
Si passa, quindi, dagli interventi di consolidamento statico alla reintegrazione delle lacune, laddove i postulati della distinguibilità, della notorietà e della reversibilità combinandosi con le diverse qualità espressive e caratteristiche tecniche dei nuovi materiali, con le possibilità operative fornite dalle tecnologie moderne, con le predilezioni del gusto e con certe forzature concettuali degli assiomi di partenza danno vita a soluzioni diversificate.
La ricerca intende fornire un nuovo apporto alle conoscenze già acquisite avvalendosi di alcuni studi ancora inediti e in corso di elaborazione in grado di arricchire il quadro storico di riferimento in merito all¿iter dei diversi progetti, ai dibattiti che hanno accompagnato la fase decisionale, ai commenti registrati dalla stampa e alle opinioni della storiografia. In tal senso si ritiene opportuno soffermare l'attenzione su atti di natura progettuale che possono offrire motivi di adeguate riflessioni anche in merito al tema attuale del 'ri-restauro' innestato dal dibattito sulla Villa romana del casale a piazza Armerina, legato alla rimozione delle strutture protettive in lastre di plexiglas e tubolari metallici concepite da Minissi negli anni Cinquanta.
Tra i programmi di sviluppo del lavoro è previsto anche un approfondimento sul ruolo della vegetazione come strumento per il restauro. Un tema ancora non compiutamente indagato che rientra a pieno titolo nell'excursus storico proposto dalla ricerca.
In particolare, a Roma è la delibera governatoriale n.1442 del 1927 relativa al "Programma dei lavori di giardinaggio" che suggerisce l'uso del verde come materia di integrazione delle lacune archeologiche, riferendosi ai ruderi delle Terme di Traiano sul Colle Oppio, il documento indica l'uso di motivi della nostra flora [per mettere] meglio in rilievo il tracciato degli avanzi, laddove i muri non si elevano oltre le fondazioni (Accorsi 2018). Questa idea progettuale, che trova riscontro in alcuni disegni di Raffaele de Vico (1926), non fu poi realizzata. Tuttavia, a partire dai primi decenni del Novecento il verde sarà diffusamente impiegato nelle opere di restauro o di nuova ambientazione dei monumenti. Giacomo Boni propone l¿impiego di "pelliccette erbose" per proteggere le creste murarie, tema poi ripreso da Filetici, Rambelli e Torraca che, nel 2005, presentano i risultati di alcune sperimentazioni sulle protezioni vegetali di strutture in tufo. Nelle terme di Caracalla Rodolfo Lanciani realizza un giardino per richiamare il piano dello xystus, tracciato sulla base dei percorsi rinvenuti (1917); nel tempio di Venere e Roma Antonio Muñoz impiega gli elementi vegetali per restituire le linee originali mancanti (1935-1936); nella sistemazione a verde del Circo Massimo (1957) i cipressi della spina centrale alludono alla posizione degli obelischi; Leopoldo Torres Balbas, nell'Alhambra di Granata, usa le architetture vegetali per ricreare volumi scomparsi (1925).