Il futuro dei centri storici. Digitalizzazione e strategia conservativa
Non esiste un censimento sicuro dei centri storici esistenti in Italia. Più o meno, si dovrebbe trattare di 22.000 siti distribuiti fra i circa 8000 Comuni oggi censiti in Italia, caratterizzati da profonde differenze nella costituzione e nello stato di conservazione.
Alcuni rilevamenti statistici effettuati evidenziano la fragile natura del patrimonio edilizio storico diffuso: i dati relativi a due censimenti, rispettivamente realizzati nel 1971 e nel 2011, indicano una quantità di edifici costruiti prima del 1919 diminuita del 18%. Questa percentuale è sicuramente condizionata da un rilevamento diverso dei dati, che nel primo caso sono comprensivi delle fabbriche monumentali e specialistiche e nel secondo riguardano la sola edilizia residenziale, ma rimane comunque piuttosto significativa, in quanto comprende comunque una parte non marginale di architettura ‘minore’, soggetta negli anni ad abbandoni, crolli spontanei o a demolizioni. Questa tendenza distruttiva è peraltro evidente anche negli anni successivi al 2011, come indicherebbero, indirettamente, lo squilibrio percentuale registrato fra consistenza edilizia storica e quantità di popolazione risiedente in essa e, direttamente, le più recenti propensioni per l’abbattimento sistematico degli abitati colpiti da sisma.
L’allarme si rafforza ulteriormente guardando agli indirizzi espressi dalle recenti normative italiane, univocamente finalizzate al rilancio dell’attività produttiva e dell’iniziativa privata: esse vedono infatti nella semplificazione radicale dell’iter autorizzativo la principale soluzione dei problemi, dimenticando che in questo iter si strutturano anche le possibilità di verifica della qualità e dell’adeguatezza dei lavori da svolgere, i quali determineranno il volto futuro della città storica.
A questi problemi sembra voler rispondere le più recenti proposte di ‘rigenerazione urbana’. Il concetto di ‘rigenerazione’ gode oggi di un particolare apprezzamento e le ragioni su cui esso si fonda appaiono legittime, in un periodo in cui la questione della sostenibilità urbana e territoriale si pone fra i primi argomenti da considerare in ambito politico-sociale, economico e tecnico. L’ampliamento dello scenario che esso propone, però, determina una pericolosa uniformità di intenti, in cui i problemi dell’edilizia storica diffusa sono messi sullo stesso piano (e trattati allo stesso modo) di quelli delle periferie urbane e la ‘conservazione’, lungi dall’essere considerata come una conquista consolidata, viene confinata al solo ambito monumentale, con un processo regressivo che ha già portato le prime clamorose conseguenze in diverse città grandi e piccole in Italia e nel resto d’Europa.
L’interesse culturale per la conservazione dell’architettura urbana diffusa, dopo decenni di crescita, sta subendo un certo ridimensionamento a favore di istanze in apparenza più importanti, come la sicurezza strutturale, la sostenibilità, l’innovazione e lo sviluppo economico, artatamente presentate come alternative e talvolta addirittura inconciliabili. Nella realtà, a contrapporsi sono piuttosto due sistemi culturali diversi, il primo attento ai valori irriproducibili della storia in una visione di lunga durata e il secondo interessato a risposte veloci e pratiche, da utilizzare nell’immediato.
Le nuove tecnologie digitali possono offrire nuove opportunità nel definire un diverso approccio conservativo, rispondendo all’esigenza fondamentale di preservare dell’identità storica dei luoghi.
Il volume propone una nuova strategia per affrontare le problematiche dei centri storici, volendo riaffermare, grazie alle nuove possibilità offerte dall’uso di strumenti informatici adeguatamente sviluppati, il ruolo positivo e trainante che una determinata modalità di operare per la conservazione può rivestire. Grazie alla strumentazione digitale, è possibile sottrarre le informazion