Anno: 
2017
Nome e qualifica del proponente del progetto: 
sb_p_530519
Abstract: 

Il progetto intende indagare le varie declinazioni e modalità dell'incompiutezza nel mondo antico greco e romano: quando fu considerata compiuta un'architettura, un'opera figurativa o uno scritto? Quali sono stati i fattori alla base del suo stato di incompletezza? Esistono nel mondo antico monumenti lasciati intenzionalmente in sospeso e non per l'incidenza di fattori accidentali? Si riesce a ricostruire la reazione dei fruitori davanti alle opere non concluse? Le opere incompiute furono comunque apprezzate o in che modo furono impiegate? La tematica in generale è stata poco indagata e comunque mai in modo trasversale nelle discipline di antichistica; diverso invece il caso della storia dell'arte in età moderna, sotto l'influenza soprattutto del non finito nel Rinascimento (Michelangelo, Leonardo). Nella Storia naturale di Plinio il Vecchio sono pochi gli accenni alle opere incomplete. In un brano dall'ampia ricezione moderna, l'autore sottolinea come sia un fatto degno di memoria che le ultime opere di certi artisti e i quadri lasciati incompiuti (inperfectae tabulae), come l'Iris di Aristide, i Tindaridi di Nicomaco, la Medea di Timomaco e la Venere di Apelle, suscitino più ammirazione che se fossero finiti, sia perché vi si possono scorgere i liniamenta reliqua e cogliere le cogitationes degli artefici sia perché il rammarico per la mano estintasi in piena attività seduce e alimenta l'ammirazione. Non si dispone di un brano su famosi edifici incompiuti eventualmente ancora più ammirati che se fossero stati finiti e in grado di stimolare la comprensione delle fasi di ideazione/progetto e di gestione dei processi costruttivi. Il periegeta Eraclide Critico nella prima metà del III sec. a.C. a proposito di un cantiere di lunghissima durata, il tempio di Zeus Olimpio ad Atene, nota: l'edificio semifinito (hemiteles) fa impressione solo grazie alla pianta (hypographe, equivalente di lineamentum), ma solo se ultimato sarebbe diventato eccellente.

Componenti gruppo di ricerca: 
sb_cp_is_768830
sb_cp_is_672705
sb_cp_is_655916
sb_cp_es_84639
Innovatività: 

La ricerca si prefigge di studiare una tematica in generale poco indagata e comunque mai in modo trasversale nelle discipline di antichistica; diverso invece il caso soprattutto della storia dell'arte occidentale in età moderna, sotto l'influenza soprattutto del "non finito" nel Rinascimento e dei suoi significati filosofici e psicologici (Michelangelo, Leonardo).
Nella Storia naturale di Plinio il Vecchio sono pochi gli accenni alle opere incomplete. In un brano dall'ampia ricezione moderna, l'autore sottolinea come sia un fatto degno di memoria che le ultime opere di certi artisti e i quadri lasciati incompiuti («inperfectae tabulae»), come l'Iris di Aristide, i Tindaridi di Nicomaco, la Medea di Timomaco e la Venere di Apelle, suscitino più ammirazione che se fossero finiti, sia perché vi si possono scorgere i «liniamenta reliqua» e cogliere le cogitationes degli artefici sia perché il rammarico per la mano estintasi in piena attività seduce e alimenta l'ammirazione (tra i quattro quadri il più celebre è la Venere di Apelle, perché ricordato anche da Cicerone nel De officiis, dove esalta la pregevolezza delle sue parti finite. La qualità straordinaria di quanto ultimato, insieme all'ammirazione dei liniamenta di un lavoro interrotto in fieri, concorse a scoraggiare ogni azzardo di completamento della Venere. Emerge un'attitudine di rispetto dei massimi capolavori per certi versi simile a quanto poi capitato all'opus inperfectum per eccellenza mancante dell'ultima mano, l'Eneide, soprattutto stando alle notizie antiche sulle modalità di sua pubblicazione.
I diversi gradi di finitura e dei prodotti semilavorati sono stati molto indagati nella statuaria, nei sarcofagi e nella decorazione architettonica in marmo, con dinamiche riportate alla prassi artigianale delle officine e/o a esigenze di esportazione e stoccaggio dei materiali. In scultura poca attenzione è stata però riservata alla collocazione di manufatti chiaramente incompleti nei contesti definitivi di esposizione, salvo il fenomeno delle teste-ritratto non ultimate nel repertorio dei sarcofagi mitologici e non del II-IV sec. d.C.
In architettura, doveva essere piuttosto comune che la fretta portasse a dedicare complessi monumentali ancora non ultimati: così accadde anche per il foro di Augusto, pubblicamente inaugurato con il tempio non ancora ultimato per la necessità urgente di fare fronte al numero dei processi pubblici e all'estrazione a sorte dei giudici. Inoltre, nel mondo antico sono tanti i cantieri interrotti o più semplicemente non rifiniti per tanti fattori (eventi traumatici, difficoltà finanziarie, esigenze di razionalizzazione ed economia di lavoro, semplificazioni dell¿esecuzione, visibilità, natura dei materiali, convenzioni legate alle funzioni delle strutture) e comunque talora utilizzati, mentre in certe circostanze si è riscontrato un gusto intenzionale per l'incompletezza a partire dal IV sec. a.C.: il progetto intende studiare le varie cause che hanno portato all'incompiutezza degli edifici e/o quando e in quali circostanze si è rinunciato alla rifinitura di loro determinate sezioni. Non si dispone di un brano su famosi edifici incompiuti eventualmente ancora più ammirati che se fossero stati finiti e in grado di stimolare la comprensione delle fasi di ideazione/progetto e di gestione dei processi costruttivi. Il periegeta Eraclide Critico (prima metà del III sec. a.C.) a proposito del tempio di Zeus Olimpio ad Atene, nota: l'edificio semifinito (hemiteles) fa impressione solo grazie alla pianta (hypographe, equivalente di lineamentum), ma solo se ultimato sarebbe diventato eccellente. Il progetto incompiuto è accostato da Plutarco alla produzione filosofica di Platone, il quale nel tentativo di trattare l'argomento di Atlantide (nel Crizia) cominciò l'opera, ma lo fece tardi e morì prima di finirla: «quanto più ci diletta ciò che è stato da lui scritto, tanto più ci rattrista che quest'opera sia rimasta incompiuta».
Proprio il definirsi dell'incompiutezza come un evento che, pur verificandosi in genere accidentalmente, assume un valore culturale, comporta un notevole grado di consapevolezza negli autori della letteratura greca e latina, che tendono a rapportarsi con estrema sensibilità a questa idea. Quali segnali deve dare l'autore per mettere in condizione il proprio lettore di comprendere che l'opera è compiuta? D'altra parte, però, dare segnali di fine e compiutezza risulta impegnativo: è particolarmente interessante raccogliere e catalogare, per interpretarli tra loro, i non pochi casi in cui l'autore, al contrario, lascia intendere che non ha modo di concludere davvero la propria opera. È, questo, un atto in qualche misura deresponsabilizzante, ovvero interpretabile tradizionalmente secondo la retorica della captatio benevolentiae? Oppure si tratta di un modo per connettere la propria opera al grande e suggestivo paradigma dell'incompiutezza?

Codice Bando: 
530519
Keywords: 

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