Vatican Chapels. Al posto di un padiglione
Vatican Chapels. Al posto di un padiglione
Una antitesi non dichiarata rende feconda l’operazione delle Vatican Chapels alla Biennale di Venezia. C’è da una parte la sfida della Santa Sede al mondo dell’Architettura, nello spogliarsi di quasi tutto per riavviare un dialogo sul senso del sacro; e c’è dall’altra, il tentativo-sfida dell’architettura contemporanea nel cercare solo dentro se stessa le ragioni ultime di ciò che si vuole rappresentare. Emerge così il nodo irrisolto del rapporto con la trascendenza in un’era che è contemporaneamente segnata dall’immanenza e da un diffuso, indistinto bisogno di religiosità.
Le cappelle nel bosco dell’Isola di San Giorgio si traguardano tra loro in un dialogo sommesso che nella piccola cappella realizzata da Asplund nel cimitero di Stoccolma trova un riferimento comune. Riconoscibile nella sobria bellezza silenziosa messa in opera da Souto de Moura, o nell’espressività brutalista di Smiljan Radic, fino – all’estremo opposto – nelle diverse forme di leggerezza costruttiva: dallo spiazzante gioco di equilibri sospesi di Javier Corvalán, alla meravigliosa delicatezza proposta dalla brasiliana Carla Juaçaba che con un semplice gesto riporta all’aperto, nel bosco, la sacralità di Asplund.