Le recenti “riforme” del credito cooperativo alla prova della Costituzione. Spunti critici e ricostruttivi

01 Pubblicazione su rivista
Miccu Roberto
ISSN: 2036-4873

La nostra Costituzione riconosce l’impresa cooperativa come un elemento essenziale del progetto di società prefigurato dai Padri costituenti e, non solo ne riconosce il valore, in quanto forma dell’agire economico, ma stabilisce che la legge deve promuoverne e favorire l’incremento con i mezzi più idonei .
Le origini della cooperazione in ambito creditizio sono comunemente fatte risalire agli impulsi dati dal Magistero Sociale Cristiano, tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, per promuovere l’emancipazione delle popolazioni più umili dal fenomeno dell’usura e dalla generalizzata condizione di indigenza nella quale ristagnavano.
Dal punto di vista politico-culturale le matrici del credito cooperativo possono rinvenirsi in due filoni principali: quello, come detto, cattolico e quello socialista , i quali, con caratteri e modelli organizzativi differenti, dettero vita a cavallo tra i due secoli, alle casse rurali costituite sul modello tedesco delle Raiffeisen.
Durante il ventennio Fascista, il nuovo regime tentò di imporre all’intero sistema un proprio modello organizzativo con la creazione dell’Ente Nazionale Fascista della Cooperazione. L’intervento del regime fu caratterizzato prevalentemente da finalità dirigistiche e di annientamento delle iniziative di matrice ideologica avversa.
In questo panorama si innestò, nell’ambito dell’Assemblea Costituente, il dialogo tra le forze politiche per la definizione delle regole che avrebbero dovuto traghettare l’intero sistema nel futuro.
Ed invero, in seno alla Costituente, si ritrovarono le due anime che avevano dato vita nel nostro paese al sistema delle casse rurali e cooperative, quella Cristiana e quella socialista, unite nell’intento di superare gli errori commessi durante il Fascismo e di dare vita ad un sistema realmente mutualistico, anche in ragione di un disperato bisogno di credito per avviare la ricostruzione del Paese.
I lavori della Costituente videro i membri sostanzialmente concordi sulla necessità di normare a livello costituzionale il concetto della cooperazione a carattere di mutualità.
In tal senso, appaiono illuminanti le parole dell’On. Canevari, membro dell’Assemblea Costituente: “La cooperazione, non è un'associazione politica né professionale, ma è un’associazione economica a fini sociali; basata sul principio della mutualità e inspirata ad alte finalità di libertà umana (funzione sociale della cooperazione), costituisce un mezzo efficace di difesa dei produttori e dei consumatoridalla speculazione privata. Lo Stato deve aiutarne con tutti i mezzi la creazione e gli sviluppi successivi mediante un controllo da esercitarsi direttamente o per mandato. Infatti, non si può chiedere l'intervento dello Stato, se contemporaneamente allo Stato non è consentito di esercitare il dovuto controllo: d'altronde è quello che avviene in quasi tutti i Paesi in cui la cooperazione ha assunto un grande sviluppo, dalla Gran Bretagna alla Francia e al Portogallo”.
Le linee direttrici scelte dai costituenti, dunque, furono essenzialmente due: la creazione di un sistema economico dotato di una funzione sociale, largamente diffuso ed organizzato prevalentemente dal basso, secondo il principio di sussidiarietà, e l’organizzazione di un sistema di controllo posto a tutela delle finalità pubblicistiche dell’istituto, che lo difendesse dalle derive autoritarie o eccessivamente autonomistiche che inevitabilmente si sarebbero potute creare.
In questo senso, il potere dello stato si sarebbe dovuto estrinsecare in un controllo negativo che è proprio dei sistemi basati sulla vigilanza, anziché su un controllo di tipo positivo, tipico dei sistemi improntati sul meccanismo della tutela. Nel caso della tutela, infatti, è più facile un intervento dello stato che limiti la libertà dell’impresa, mentre, nel caso della vigilanza, lo Stato si limita alla difesa del suo diritto, impedendo

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