LE CARATTERISTICHE DEL CONTESTO LAVORATIVO

02 Pubblicazione su volume
Menatta Pietro, Borgogni Laura

INTRODUZIONE. Studiare il comportamento nei contesti lavorativi significa non solo tenere conto delle caratteristiche che l’individuo mette in gioco o di cui è portatore come ad esempio la personalità, la motivazione, le competenze e le conoscenze, ma anche esplorare quali fattori ambientali lo influenzano e dunque contribuiscono a modellarlo e definirlo. Ciò risulta particolarmente cruciale quando si intende sviluppare o piuttosto scoraggiare un certo comportamento o quando lo si vuole prevedere e anticipare. A fronte di questo scenario spesso la prospettiva privilegiata parlando di comportamento, sia nella ricerca come nella pratica, è stata quella “individualista”, ovvero quella centrata sulla persona e sulle sue caratteristiche. In realtà l’ambiente al quale l’individuo è esposto o decide di esporsi è significativo per far si che tragga il meglio dall’esperienza e da se stesso, o ancora per modellare e dunque far crescere ciò che nella persona è più malleabile. Le ragioni per le quali non si è data la giusta importanza allo studio del contesto possono essere diverse ma riguardano fondamentalmente la difficoltà a circoscrivere il concetto, che effettivamente si presenta complesso e sfaccettato, dunque soggetto a molteplici interpretazioni, e la conseguente difficoltà ad operazionalizzarlo. A riprova della scarsa attenzione data al contesto, Johns (2018) ha esaminato diverse rassegne che hanno preso in considerazione centinaia di studi nel campo dei gruppi di lavoro, della leadership, dell’imprenditorialità e del knowledge sharing, rilevando che, a seconda del dominio, solamente tra il 5% ed il 25% degli studi riportava chiare informazioni di contesto e prevedeva al contempo l’analisi dello stesso. Inoltre, come sostengono Mowday e Sutton (1993), del suo studio se ne occupano indifferentemente economisti, sociologi, psicologi e ricercatori di Organizational Behavior (OB), ognuno secondo la propria prospettiva e questo contribuisce ad aumentare la complessità dell’oggetto di studio. Un’altra questione che ha reso difficile lo studio del contesto è stata la variabilità del peso da attribuire alle diverse situazioni, rispetto alle caratteristiche individuali, nel determinare il comportamento. In questo senso, seguendo una prospettiva che approfondisce lo studio della personalità, Mischel (1977), attraverso il concetto di “forza situazionale”, spiega come i tratti di personalità, i vissuti, i valori e i bisogni individuali possano interagire con il contesto e influenzarne il cambiamento a seconda che si tratti di situazioni definite deboli o forti. Nelle situazioni “deboli” le differenze individuali sono più significativamente legate alla produzione di un certo comportamento rispetto alle situazioni “forti” che invece lo condizionano, lo influenzano e in definitiva limitano l’influenza di queste ultime su di esso. In ambito organizzativo ad esempio, un superiore estremamente autoritario verrà percepito tale dalla maggior parte dei suoi dipendenti, facilitando così un’interpretazione univoca di una situazione di per sé forte. Viceversa un capo con caratteristiche meno definite lascerà più spazio alle differenti interpretazioni dei soggetti, che dipenderanno piuttosto dalle caratteristiche, dalle risorse e dalle esperienze di ognuno e la produzione dei comportamenti dipenderà maggiormente dall’individuo. Un ulteriore contributo teorico che approfondisce l’analisi della personalità in interazione con il contesto è la Trait Activation Theory di Tett e Burnett (2003). Essa descrive un modello di fit persona-ambiente in cui i tratti di personalità, operazionalizzati secondo il modello dei Big five, vengono attivati, o al contrario inibiti, da determinate caratteristiche contestuali (richieste lavorative, elementi di facilitazione, di disturbo oppure vincoli), declinate su più livelli (lavorativo, sociale e organizzativo). Ad esempio, la

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