«Una realtà di puri echi»: Simbolo e comunione in Pirandello, chi? Di Amelio Memè Perlini

01 Pubblicazione su rivista
Berlangieri MARIA GRAZIA
ISSN: 2280-6849

La linea teatrale degli anni Settanta, come scrive Valentina Valentini, caratterizzò il Nuovo Teatro italiano con la tendenza a espandersi oltre i confini geografici e disciplinari e, al contempo, con la tensione verso un nucleo comune (corpo, gesto, movimento) per «riparare nel luogo teatrale come negli spettacoli del Teatro-Immagine (secondo la definizione data da Bartolucci) di Mario Ricci, Memé Perlini, Giancarlo Nanni, Giuliano Vasilicò». Di fatto, è un processo di permeazione quello compiuto da Memé Perlini con il testo Pirandelliano, nell’accezione latina di per- «attraverso» e meare «passare». Sei personaggi in cerca d’autore per lui rappresentò una doppia illuminazione: una per così dire pubblica, riguardo al suo modo di vedere la scena, l’altra inerente a un’infelicità personale e collettiva che «gli riempiva i giorni e le notti» e che mutuò nella scrittura di Pirandello chi?, messo in scena per la prima volta nel 1973, come già accennato, al Beat ’72 di Roma. Perlini traspose la frammentarietà che caratterizzava la società di quegli anni in quelli che definiva frammenti-immagini, volti a ridurre il corpo dell’attore sulla scena in sezioni di luce e buio, nell’idiosincratica spinta a «parcellizzare, frantumare gli oggetti teatrali (paura del corpo) ma anche chiarissimo tentativo di ricostruirli (desiderio di rappresentare)».

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