Visitando Urbino nel 1581, Montaigne scriveva nel suo "Journal" che Francesco Maria II della Rovere, ancora senza un erede, si preparava a restituire il ducato al papa. Il principe filosofo, il quale sul modello di Carlo V aspirava a un'esistenza ritirata, regolata da studio, preghiera e culto delle memorie famigliari, cedette infine alle pressioni di Urbano VIII, rimettendo nelle mani della Chiesa il governo di quei territori che aveva arricchito di nobili residenze, collezioni d'arte e raccolte librarie. L'ultimo duca di Urbino non volle tuttavia lasciare al pontefice nessuno dei quadri, nulla degli archivi e dei libri conservati nelle sue corti. La famosa "Libraria" degli stampati,specchio dei vasti interessi di un principe modello della Controriforma, fu dichiarata per testamento inamovibile. Dopo la sua morte (1631), per intervento dei legati, in particolare Antonio e Francesco Barberini, si registrò un aumento del trasferimento a Roma di artisti, intellettuali e opere d'arte provenienti dal ducato.
Alessandro VII Chigi, derogando alle volontà del duca, riuscì a spostare alla Sapienza di Roma l'intero patrimonio bibliografico lasciato da F. M. II in un luogo percepito ormai come periferico e inadatto a conservare una così preziosa eredità.
La ricerca intende indagare l'entità e la qualità degli scambi culturali tra il ducato di Urbino e la Capitale Pontificia prima e dopo la devoluzione del 1631; ci si propone di approfondire l'eredità culturale di F. M. II attraverso uno studio, mai condotto in precedenza, del patrimonio iconografico della sua biblioteca ("l' immaginario del duca"), riesaminata anche in relazione alle collezioni d'arte roveresche fotografate dagli inventari delle corti d'Urbino e Casteldurante. Sarà infine avviata una schedatura dei materiali iconografici della biblioteca partendo da alcune delle classi tematiche delle antiche scansie reperibili nel catalogo originario conservato alla Biblioteca Universitaria Alessandrina (ms 52).
Il progetto presenta un significativo avanzamento rispetto agli studi finora dedicati a questo tema ed elementi innovativi di rilievo in quanto esamina la "libraria" roveresca come sistema di testi e immagini, (Ritratti di uomini illustri, di stampe, disegni e le stesse illustrazioni dei volumi), un patrimonio iconografico da mettere in relazione con le collezioni d'arte un tempo raccolte in spazi attigui alla biblioteca e disperse in seguito alla morte dell'ultimo duca di Urbino.
Considerare le immagini della biblioteca e le immagini delle collezioni come un sistema unico consente di ricostruire sul piano ideale della ricerca la formidabile cultura di una delle più interessanti figure della politica europea tra Cinque e Seicento.
Esaminare gli effetti di un evento storico come la devoluzione del ducato di Urbino nella cultura europea del lungo periodo, significa inoltre valutare la dispersione di un enorme patrimonio, non solo in termini di perdita, ma di irradiazione di un'eredità culturale che vede come poli ancora oggi le città di Urbino, Roma e Firenze.
Tale deposito culturale può essere nuovamente ricomposto e compreso nel suo assetto originario grazie alle moderne reti di comunicazione e gestioni di dati. In tal modo la valorizzazione nelle sue attuali sedi di conservazione può utilmente favorire la riscoperta di quegli spazi originari rimasti a lungo ai margini della prospettiva storico artistica globale.