Il suicidio rappresenta un importante problema di salute pubblica la cui neurobiologia non è ancora del tutto chiara. Nella maggior parte dei casi il comportamento suicidario è associato a disturbi dello spettro psichiatrico, con particolare riferimento alla depressione maggiore. Svariati fattori concorrono all'aumento del rischio suicidario, che è dunque legato ad una predisposizione genetica e al verificarsi di eventi avversi della vita. Un'ipotesi fisiopatologica emergente sottolinea il ruolo svolto da fattori neurotrofici, proteine coinvolte nella neurogenesi, nella plasticità sinaptica in risposta a fattori stressanti. Diversi studi clinici e post-mortem suggeriscono una correlazione tra l'espressione di tali proteine e il suicidio, nonché ipotizzano la possibilità da parte di farmaci antidepressivi di incrementare l'espressione di alcune neurotrofine. In letteratura sono pochi i dati emersi da campioni post-mortali. Lo scopo della nostra ricerca è valutare il grado di espressione di BDNF in specifiche aree cerebrali (coinvolte nel disturbo depressivo) in soggetti suicidi e confrontarli con soggetti deceduti per morte naturale. I soggetti suicidi verranno successivamente suddivisi tra individui con storia di depressione e individui senza storia di patologia psichiatrica. Infine, stante l'assenza di studi relativi all'espressione di GDNF nei soggetti suicidi, si vuole valutare l¿espressione di questo marker rispetto ai soggetti deceduti non per cause suicidarie.
Ipotesi emergenti sulla patogenesi del suicidio suggerisce che alla base del suicidio e della depressione vi sia un'alterata plasticità sinaptica, per cui la depressione e il comportamento suicidario possono essere legati ad un'incapacità cerebrale di dare risposte adattive appropriate a stimoli ambientali a causa della compromissione della plasticità sinaptica e strutturale. Difatti è noto che soggetti affetti da depressione mostrano un volume ippocampale ridotto rispetto a soggetti sani, suggerendo un deficit di neuroplasticità. È nota inoltre l'importanza svolta dallo stress nell'aumento del rischio suicidario. Difatti, una delle risposte primarie allo stress è l'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA). In risposta a uno stress, l'ipotalamo rilascia l'ormone di rilascio della corticotropina (CRH), che a sua volta causa la secrezione di ormone adrenocorticotropinico (ACTH) che stimola la produzione e il rilascio di cortisolo da parte delle ghiandole surrenali. Questo esercita effetti negativi sul trofismo ippocampale, verosimilmente legato a una riduzione di sintesi di fattori neurotrofici. Sebbene sul BDNF ci siano molti studi preclinici, clinici e post-mortem che evidenziano una correlazione tra una sua riduzione in varie regioni cerebrali e la depressione e il suicidio, non è chiaro se tale neurotrofina possa essere considerata un marker di suicidio. La nostra ricerca, ha lo scopo di approfondire il suo eventuale ruolo nel rischio suicidario, nonché quello di utilizzarlo come futuro marker neurobiologico di suicidio, con eventuali ripercussioni in ambito clinico psichiatrico e medico-legale. Per ciò che concerne il GDNF, la nostra ricerca rappresenterebbe il primo studio a valutare l¿espressione di tale neurotrofina in tessuti cerebrali post-mortem di soggetti suicidi, con lo scopo di evidenziare un suo eventuale coinvolgimento nella dimensione suicidaria.