Oggetto della presente ricerca è il concetto di metamorfosi, che nella germanistica - da cui questo progetto prende le mosse - significa tornare a Goethe e ai suoi studi di scienze naturali; ma che per il focus che tale ricerca intende darsi, primariamente interdisciplinare (coinvolgendo Letteratura tedesca, Storia delle scienze e delle tecniche, storia dell'arte moderna, lingua e letteratura latina), implica un approccio il più possibile onnicomprensivo al termine, che prenda in considerazione cioè sia gli aspetti più eminentemente storico-letterari connessi al termine, sia quelli più collegati al discorso scientifico-naturalistico dell'epoca di Goethe; ma che consideri anche le connessioni del concetto con la filosofia (metamorfosi cioè come indice programmatico per comprendere il mutamento, sia in senso concettuale che antropologico); o con la genesi della nozione negli scritti antichi, come indice della perenne trasformazione di una natura colta come una totalità animata, permeata dalla presenza degli dèi; e la sua applicazione nella storia dell'arte europea, segnatamente in quella dell'età moderna, in cui le epifanie metamorfiche degli dèi, con tutto il loro correlato destabilizzante, sembrano essere poste al servizio dello sguardo moralizzato della controriforma.
Più in generale, dentro questo complesso tessuto di rimandi e di stratificazioni genealogiche, si ritrova la vecchia e sempre feconda contrapposizione morfologia/storia, ovvero, in ultima analisi, quella tra forma e divenire. Scopo dunque della ricerca è tornare a indagare quella "legge segreta" di cui parla Goethe in una sua poesia del 1798 intitolata Metamorphose der Pflanzen, quando constata che "tutte le forme sono simili, e nessuna è identica all'altra; E così il coro allude ad una misteriosa legge, ad un sacro enigma" (Goethe 2013, 429). Una legge segreta cioè per quella dialettica tra affinità e differenze che attraversano le forme del reale (vale a dire, sia della natura che della cultura).
Le linee interpretative già compiute delineate finora impongono allora a un tale progetto la costruzione di un rigoroso dispositivo ermeneutico interdisciplinare e orientato su più piani, che permetta di risalire genealogicamente alla formazione del concetto, primariamente attraverso il concetto di "forma".
Esso, nel suo antecedente latino, riassume in una sola parola i concetti che in greco erano distinti: uno per indicare le proprietà qualitative e l'apparenza manifesta di un ente, un altro a delineare la struttura ideale e un terzo per distinguere l'intellegibilità di un oggetto, vero "principio organizzativo" di un organismo (Maggiore 2017, 17-18). Con ciò si delinea in chiave etimologico-concettuale il campo semantico della "forma" come un qualcosa che opera sia in direzione del soggetto percipiente che del percepito, sia in direzione dell'essere umano che della sua produzione di idee.
In questa chiave la metamorfosi si può considerare anche dal punto di vista della cultura visuale, nel senso della bidirezionalità tra osservatore e oggetto osservato, in una sorta di "partecipazione interpretativa" che stabilisce lo sguardo come indice di una teoria della conoscenza (Cometa 2012, 62ss.). In tal modo il concetto diventa uno dei "regimi scopici" (Jay 1988) che impongono una ridefinizione del rapporto tra testo letterario e immagine, anche e soprattutto nelle forme dell'ékphrasis (Agazzi 2013).
Una volta assunte queste linee di ricerca, che chiamano in causa la storia della cultura visuale sia nel senso storico-artistico che in quello concettuale, si rende necessario un approfondimento in chiave etimologico-concettuale del lessico tedesco, per sottolineare la differenza tra Form e Gestalt, che proprio nell'età di Goethe si comincia a operare. Similmente, occorrerà ripercorrere gli scritti naturalistici di Goethe, e il dibattito scientifico coevo, alla ricerca di un analogo punto di distanziamento lessicale tra Metamorphose e Verwandlung: alla luce del fatto che, in un appunto del 1807 ai suoi studi morfologici, Goethe usa i termini in maniera intercambiabile: "la forma [Die Gestalt] è qualcosa che si muove, che diviene, che trapassa. La teoria della forma è teoria della trasformazione [Gestaltenlehre ist Verwandlungslehre]. La teoria della metamorfosi [Metamorphosenlehre] è la chiave per tutti i segni della natura" (Goethe 2013, 317).
Il passo mostra esemplarmente una tendenza peraltro presente nella lingua tedesca, anche al di là di quanto detto a proposito di Kafka: nella sua celebre opera Masse und Macht, Elias Canetti parla esplicitamente di Verwandlung ("metamorfosi" nell'ed. italiana), a indicare la capacità dell'uomo di mutare internamente forma e sfuggire ai pericoli, fino a condensarsi nella trasformazione ultima, quella della "figura" intesa come qualcosa di non naturale (Canetti 1981, 452). Verwandlung, evidentemente, per Canetti è una parola che ha il merito di non porre veli "classici" arrivando direttamente al cuore politico: tale configurazione metamorfica infatti si connette al problema del potere, che istituisce una vera inibizione di questa incessante capacità trasformatoria, che Canetti definisce "Entwandlung", antimutamento: "per chi vi ricorre, la ricchezza delle forme fenomeniche non vale nulla e ogni molteplicità è sospetta"; l'antimutamento diventa così paranoia, simulazione di sé e incessante smascheramento dei nemici (458).
Indagare l'intrinseca polisemia del concetto di metamorfosi (insieme a una ricognizione topologica dei 'luoghi' della sua rimozione) porterà a una rilettura nuova del processo identitario tedesco, sia come profonda volontà di permanenza nel divenire, ma anche rispetto alle modalitá in cui viene negata. La metamorfosi goethiana come "compresenza dei contraddittori" in cui "entrambe le cose sono vere contemporaneamente", da cui discende "il corto circuito di forma e informe" (Guglielminetti 2001, 71): questo dunque in estrema sintesi il potenziale "politico" del concetto, che ritrova tra l'altro una applicazione estremamente significativa nel Wittgenstein che legge la mitologia comparata di Frazer con le lenti morfologiche goethiane, in ciò che chiama "übersichtliche Darstellung", rappresentazione perspicua capace di "vedere le connessioni" (Wittgenstein 1975, 28). In tale importante testo Wittgenstein ricollega tale Darstellung alla Weltanschauung delineata da Spengler (una delle fonti dichiarate, anche se in senso critico, dal filosofo austriaco), a comporre un quadro estremamente complesso di riferimenti, che vale anche da cartina al tornasole degli effetti politico-culturali dell'impianto morfologico goethiano sulla storia culturale tedesca successiva.
La "legge segreta" di cui parla Goethe va insomma intesa come quella delle "rappresentazioni perspicue": come cioè la necessità di una descrizione in soggettiva delle dissomiglianze della realtà vivente, alla ricerca di affinità non universali, ma attive nella percezione di chi le vede (Iacono 2011).