
Il progetto ha l'obiettivo di indagare, attraverso metodi narrative-based, se vi siano pattern affettivi differenti in detenuti con reati di violenza nella relazione intima (IPV), in funzione della loro trattabilità psicologica o non trattabilità. Il progetto si colloca in un momento storico caratterizzato da un'elevata risonanza dell'IPV e dalla necessità di rispondere empiricamente ad un fenomeno sociale pervasivo. Alla luce dei nuovi provvedimenti legislativi, che permettono all'imputato di accedere a interventi per la prevenzione della recidiva, urge promuovere una competenza psicologica nel comprendere il grado di trattabilità dei soggetti al fine di sostenere interventi efficaci. In Italia gli interventi psicologici per i maltrattanti sono poco diffusi a differenza del panorama internazionale, in cui sono stati proposti programmi risultati successivamente poco efficaci. Al fine di rendere più efficaci gli interventi, è utile individuare le dimensioni psicologiche sottostanti il comportamento violento e valutare la presenza di fattori ostacolanti il successo del trattamento. In fase di valutazione basarsi solo sul contenuto dichiarativo dei soggetti, potrebbe non essere sufficiente per individuare il trattamento più adeguato poiché potrebbero più o meno consapevolmente negare il reato o al contrario utilizzare modalità compiacenti per accedere all'intervento senza poi poterne beneficiare. Si propone un approccio empirico narrative-based che possa ridurre i bias di desiderabilità e falsificazione, e che sia in grado di cogliere se soggetti valutati come trattabili psicologicamente o non trattabili abbiano pattern affettivi differenti. A tal riguardo i testi dei colloqui clinici condotti con circa 60 maltrattanti attualmente detenuti, verranno analizzati attraverso metodi di analisi testuale. I risultati potrebbero agevolare lo psicologo implicato in processi decisionali circa il trattamento più adeguato per il maltrattante.
L'esplorazione del rapporto tra pattern affettivi e trattabilità psicologica secondo un approccio empirico narrative-based risulta innovativo per due motivi: 1. Per l'impatto sulla comunità professionale e di conseguenza su quella sociale, vista l'entità del fenomeno; 2. Per l'assenza in letteratura di ricerche simili.
1. Impatto sulla comunità
Il progetto potrebbe contribuire nell'ampliare quei fattori associati al rischio di recidiva, già individuati dalla letteratura, grazie ad un disegno mixed method rispetto ad un fenomeno sociale pervasivo. La necessità di intraprendere studi in Italia circa il fenomeno risponde a quanto sostenuto il 31 maggio presso la Commissione Femminicidio del Senato, in cui è stato sottolineato come le analisi fino ad ora condotte non sono più sufficienti per spiegare il fenomeno e per definire strategie di intervento istituzionali. Fino ad ora, infatti, hanno prevalso letture del fenomeno di matrice femminista che hanno individuato in dimensioni culturali la violenza perpetrata, limitando la possibilità di delineare strategie preventive. Come scrive Dutton (2008), principale autore di riferimento sul tema, è necessario uscire da una lettura del fenomeno in termini di violenza di genere e attrezzarsi per riconoscere e trattare in termini psicologici la violenza nelle relazioni intime.
Il presente contributo potrebbe quindi fornire ulteriori indicazioni per la comunità di psicologi, la quale potrebbe fornire il proprio expertise per rispondere agli obiettivi del sistema penitenziario: la riabilitazione del detenuto da un lato, la sicurezza della società dall'altro.
2. Letteratura scientifica
Sebbene nella letteratura internazionale è possibile rintracciare studi circa le caratteristiche degli uomini maltrattanti non trattabili, inclusa l'attenzione ai pattern affettivi, non vi sono studi che si sono occupati di indagare la loro relazione attraverso l'analisi delle narrazioni dei detenuti. L'eterogeneità della popolazione maltrattante rilevata in ambito clinico e scientifico, richiede allo psicologo una competenza nell'individuare i fattori di rischio di recidiva, presenti nella storia del singolo soggetto, su cui è possibile intervenire. Se è vero che l'HCR-20 è una metodologia innovativa poiché guida l'equipe nell'identificazione dei fattori rilevanti per il soggetto, d'altra parte è a carico dello psicologo la scelta del metodo più adeguato con cui raccogliere le informazioni e interpretare i dati raccolti. Questo richiede un'elevata competenza clinica, una specifica conoscenza dell'IPV e un modo di procedere sistematico e rigoroso. Rispetto a tale aspetto, il progetto potrebbe agevolare lo psicologo in fase di valutazione ed in particolare nel momento del colloquio.
Il colloquio, infatti, è lo strumento cardine sia per la valutazione del rischio di recidiva ma anche per l'osservazione di personalità prevista dal sistema penitenziario (Capo III, Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).
L'osservazione della personalità è volta a comprendere le carenze fisio-psichiche e le altre cause del disadattamento sociale al fine di individuare il trattamento individualizzato più adeguato per il soggetto. Inoltre, fornisce informazioni utili al sistema penitenziario in vista di provvedimenti disciplinari o benefici. È possibile, quindi, comprendere la rilevanza della valutazione dello psicologo per l'impatto che questa può avere rispetto ai futuri sviluppi trattamentali in termini di rieducazione del detenuto. In linea con quanto emerso dalla letteratura, il solo contenuto dichiarativo potrebbe essere limitante nel prendere decisioni, anche perché il colloquio diventa l'occasione principale per il detenuto per accedere a benefici. Tale aspetto potrebbe rafforzare o alimentare dinamiche strumentali della relazione con l'osservatore (Giulini, 2008), in particolare da parte dei soggetti che hanno tratti psicopatici o antisociali (Kernberg, 1993).
In Italia la figura dello psicologo, seppur presente nell'Osservazione scientifica, è tuttora marginale in fase di trattamento. Il nuovo provvedimento legislativo, che prevede la possibilità per l'imputato di accedere a interventi di prevenzione per la recidiva, potrebbe essere un punto di partenza per promuovere una competenza psicologica spendibile in tale ambito. È necessario quindi promuovere non solo la competenza psicologica, ma anche una cultura della ricerca psicologica che sia in grado di individuare quei fattori individuali e interpersonali che caratterizzano la popolazione maltrattante, al fine di poter implementare interventi psicologici efficaci. Individuare i soggetti trattabili e non trattabili significa al contempo comprendere come ottimizzare le risorse professionali e umane implicate nel sistema penitenziario stesso e delineare strategie alternative per intervenire su coloro che non possono fruire e beneficiare di un trattamento psicologico.