Note sulla produzione di canoni ‘giambici’ ecclesiastici a Bisanzio dopo l’originaria fioritura tradizionalmente ascritta al Damasceno
Tra le composizioni innografiche della Chiesa greca il numero dei canoni «giambici» risulta estremamente ridotto rispetto alla sovrabbondanza di quelli modulati in metro «ritmico». Una delle principali ragioni di tale rarità può essere certamente individuata nel virtuosismo tecnico richiesto all'innografo per la realizzazione di una tale tipologia di inno, nel quale tutti i versi di ogni tropario di ciascuna ode sono costituiti da dodecasillabi bizantini, le cui iniziali, per di più, risultano frequentemente legate fra loro in modo da formare un articolato acrostico metrico. I versi del canone «giambico» dovevano inoltre risultare conformi, oltre che alle leggi prosodico–accentuative caratteristiche del verso discendente dal trimetro giambico classico, anche a quelle ritmico–melodiche peculiari dell'innografia ecclesiastica nel suo complesso. Tale raffinata produzione innografica di stampo classicizzante, iniziata, contemporaneamente a quella «ritmica», tra la fine del VII e la prima metà del secolo VIII, coi tre celebri inni «giambici» per le solennità del Natale, della Teofania e della Pentecoste la cui stesura è tradizionalmente ascritta a Giovanni Damasceno, fu in seguito proseguita da una serie di autori attivi, praticamente senza soluzione di continuità, sino alla caduta dell'impero romano orientale. Eccettuati, però, i tre più antichi, i successivi canoni «giambici» ecclesiastici prodotti nel Medioevo greco non sono stati sinora particolarmente studiati, né da coloro che si sono occupati di componimenti poetici di età bizantina, secolari e religiosi, in «metro classico», né dagli stessi cultori degli studi innografici: allo scopo di colmare tale lacuna, mi sono dunque assunto il compito di prendere complessivamente in esame tale produzione, delineando una sorta di prima sintetica storia del genere.