Ludovico Quaroni’s spatial grid in Prato. Cities and open forms

04 Pubblicazione in atti di convegno
Padoa Schioppa Caterina, Porqueddu Luca

Il “reticolo spaziale” di Quaroni – che molto ricorda sul piano teorico gli esperimenti coevi dei “mats” o matrici urbane a crescita potenzialmente infinita dei van Eyck, dei Candilis, degli Smithson – nasceva come dispositivo in grado di adattarsi all’istanza di organizzazione, di relazioni e di integrazione propugnata dalla crescita esponenziale delle comunità urbane e della loro interna varietà, volendo incarnare la nozione di opera aperta formulata da Umberto Eco nel 1962, «un mistero da investigare, un compito da perseguire, uno stimolo alla vivacità dell’immaginazione». Inoltre, come spiega lo stesso Quaroni nel suo testo-manifesto "La Torre di Babele" pubblicato nel 1967, è il «mezzo architettonico» che consente di stabilire una relazione – stretta e operativa – tra il disegno come strumento e il disegno come fine, tra il significato metafisico e quello prescrittivo del progetto, tra la nozione di ordre e quella di ordonnance in cui convergono la struttura funzionale, tecnologica, ed estetica dell’architettura della città. Attraverso lo sguardo rivolto al progetto, insieme paradigmatico e poco noto, di San Giusto, il contributo intende individuare traiettorie progettuali capaci di fornire un’alternativa spaziale e insieme “politica” alla tendenza della città contemporanea di organizzarsi per enclave impenetrabili.

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