Scopo del presente progetto è il confronto diretto con i manoscritti nepalesi dei poemi epici di corte (mahakavya) composti da Asvaghosa nel I-II secolo d.C.: il Saundarananda (L XII secolo d.C. e P XIV secolo d.C.) e il Buddhacarita (A XIV secolo d.C.). I dati biografici di cui abbiamo notizia, tramandatici dai colofoni e da fonti cinesi e tibetane, ci restituiscono un'immagine dell'autore quale brahmano convertitosi al Buddhismo. Dalle sue opere si evince una certa autorevolezza nel trattare gli argomenti filosofico-religiosi sia buddhisti sia propri del brahmanesimo (i.e. rituale vedico e discussione sul Dharma) e, per la sua identità di interlocutore privilegiato fra due mondi, si configura come il primo autore a noi noto del genere letterario della Poesia d'Arte Kavya. L'esaminare i testimoni citati è propedeutico ad individuare, studiare e analizzare le lezioni considerate più problematiche ai fini interpretativi e di ricostruzione testuale e successivamente poterle sfruttare, nell'ambito del lavoro di tesi, nel confronto con le fonti epiche (Mahabharata e Ramayana) col fine di dimostrare una plausibile relazione filologica intertestuale fra le quattro opere citate. Privilegiando un approccio di tipo filologico, mi dedicherò all'analisi e allo studio delle varianti riscontrabili in L, P e A, che, spesso passando inosservate o scartate dalle scelte editoriali, celano prove testuali funzionali alla schedatura di riferimenti incrociati fra le opere di Asvaghosa e il Mahabharata e il Ramayana. L'approccio metodologico adottato ha come oggetto le principali figure retoriche e stilistiche impiegate dall'autore che non sono mai state impugnate in un confronto sistematico con le fonti epiche, per determinare a livello quantitativo e qualitativo il peso che queste hanno avuto nell'influenzare l'autore nel processo compositivo.
Di Asvaghosa, primo autore a noi noto della Letteratura d'Arte Kavya, non abbiamo ancora un quadro chiaro sia biografico sia letterario, per quanto concerne le fonti che potrebbero principalmente aver influenzato la composizione delle sue opere né, tanto meno, del modo in cui potrebbe avere interagito con le fonti epiche. Collocandosi agli albori del più ampio movimento letterario Kavya ed inscrivendosi nel sottogenere Mahakavya, l'apporto delle fonti epiche alle sue opere è stato spesso dibattuto nell'ambito di studi di ricostruzione storico-culturale, ovvero entro la cornice del dialogo interreligioso e interculturale fra Brahmanesimo e Buddhismo, ma mai contemplato da un punto di vista strettamente testuale. Questo, a causa della peculiare situazione che riguarda la messa per iscritto dei testi epici (soprattutto il Mahabharata), argomento delicato per la comunità scientifica che, in tale ottica, fatte alcune eccezioni, tende a rigettare l'ipotesi che Asvaghosa conoscesse direttamente le fonti epiche. Tuttavia grazie anche alla sua particolare biografia, dedotta da informazioni contenute nei testi, di brahmano convertitosi al buddhismo, egli è considerato un interlocutore privilegiato di due mondi, quello brahmanico e buddhista, due patrimoni culturali e letterari fra loro opposti.
Al meglio delle mie conoscenze, non è stato ancora operato un confronto sistematico delle figure retoriche e stilistiche impiegate da Asvaghosa sia nel Saundarananda sia nel Buddhacarita con le medesime presenti sia nel Ramayana sia nel Mahabharata e, per quanto concerne l'approccio filologico ai manoscritti, ci sono casi in cui le scelte editoriali sembrano non tener conto dell'usus scribendi dell'autore.
Stabilire la qualità dell'apporto stilistico e retorico delle fonti epiche, e non solo dell'immaginario mitologico e filosofico-culturale contribuirebbe, da un lato, agli studi sui rapporti intrinseci fra i due generi letterari, l'epica e l'epica di corte e, dall'altro, all'avanzamento degli studi sulla medesima poesia d'arte e dei moduli espressivi che la distinguono e che Asvaghosa, configurandosi quasi come antesignano, mostra di saper padroneggiare, secoli prima della sistematizzazione classica che avverrà ad opera dei retori a partire dal VI/VII secolo d.C.
Ritengo infine plausibile l'intento che soggiace a questo progetto di ricerca, ovvero di poter essere capace, attraverso l'approccio metodologico proposto, di ottenere risultati accettabili sia sul piano del confronto filologico diretto sia su quello che concerne una più profonda comprensione dei rapporti storico-letterari che legano indissolubilmente, il genere Mahakavya al genere epico.