La crisi generata dalla pandemia di covid 19 ha acceso un rinnovato interesse nei confronti delle aree interne del Paese, quei territori definiti rispetto alla loro significativa distanza dai centri di offerta di servizi essenziali, che coprono quasi il 60% del territorio nazionale, soggetti a importanti processi di spopolamento ma ricchi di fondamentali risorse ambientali e culturali. In un momento in cui le politiche di lockdown mettono a dura prova l'attrattività della città densa, il capitale ambientale di questi territori finisce con l'alimentare nuovi immaginari di fuga dagli universi metropolitani.
Allo stesso tempo la pandemia impone alle aree interne un serio ripensamento dei propri modelli di sviluppo. Quella monocultura turistica, finora percepita come unico possibile orizzonte di rilancio per territori caratterizzati da una strutturale debolezza economica, ha mostrato, in questo presente, tutta la sua allarmante fragilità.
All'interno di questa cornice, appare dunque quanto mai necessario capire in che modo costruire delle valide e solide alternative di sviluppo territoriale capaci di restituire un futuro possibile alle aree interne, lontano da modelli estrattivi di tipo turistico. Le pratiche artistiche e culturali sembrano poter svolgere un ruolo in questa direzione, nel momento in cui sono potenzialmente capaci di: nutrire capacità immaginativa e progettuale; lavorare sull'individuazione di vocazioni territoriali endogene in antitesi alla monocultura turistica; elaborare strategie di community building all'interno di territori semi-abbandonati; attivare reti territoriali e di interlocuzione con i soggetti istituzionali.
La presente ricerca si pone dunque l'obiettivo di indagare le potenzialità di tali pratiche nel ripensare lo sviluppo delle aree interne, alla luce delle importanti riconfigurazioni socio-economiche che la pandemia sta imponendo.