Parole e concetti della politica: framing metaforici e conceptual blending
Da alcuni decenni il tema della categorizzazione è al centro del dibattito delle scienze filosofiche, linguistiche e cognitive. Le teorie più recenti, che si sostanziano in nozioni che rimandano alla `famiglia semantica' di frame (Fillmore, 1985) mettono in crisi l'idea sia della categoria sia dei concetti come rappresentazioni mentali permanenti (Smith e Samuelson, 1974), a partire dall'evidenza che i processi cognitivi offline e online richiedono non solo la rievocazione di strutture concettuali già presenti nella mente, ma anche la creazione di categorie ad hoc (Barsalou, 1983; cfr. in particolare Barsalou 2005).
La concezione 'procedurale' o pragmatica delle modalità di categorizzazione/concettualizzazione, che trova uno dei suoi principali fondamenti teorici nella nozione witthensteiniana di 'somiglianza di famiglia' (Wittgenstein, 1953) e nelle ampie critiche rivolte dalla psicologia e dalla semantica cognitiva al cosiddetto «modello classico della categorizzazione» (cfr. Diodato 2015), risulta particolarmente evidente quando si analizzano ambiti dell'esperienza nei quali il nesso tra concettualizzazione, usi linguistici e contesto si fa particolarmente intricato, come nel discorso politico.
Appare, dunque, utile analizzare il discorso politico connettendo gli studi linguistici più classici (che utilizzano strumenti lessicografici tradizionali come le liste di frequenza, l'analisi dei rapporti associativi e sintagmatici, delle dimensioni della variazione linguistica, delle modalità retoriche ecc.) alle teorie cognitive che mostrano come, grazie a meccanismi cognitivi innati o appresi nel contesto socio-culturale, le scelte lessicali sono di rado riconducibili a variazioni stilistiche o di registro individuali, rievocando, invece, un universo concettuale più o meno coerente, che tuttavia costruisce e rievoca nel destinatario una precisa 'visione del mondo' (Humboldt, 1836).