Amor loci. Il paesaggio del ricordo
In un recente saggio, dal titolo Landscapes are Mindscapes, Vittorio Lingiardi sostiene che esistono legami psicanalitici, neuro-estetici e inevitabilmente poetici tra queste due espressioni. Mentre il primo è un termine di uso comune, ancorché non trovi nel suo corrispettivo italiano una appropriata traduzione, il secondo è un neologismo che indica uno spazio astratto ma strettamente connesso a quello fisico determinato da una disposizione percettiva che pone l’uomo “con la
psiche nel paesaggio e il paesaggio nella psiche“. Proprio per questo, le geografie della terra sono inseparabili da quelle della mente; i luoghi che amiamo sono al tempo stesso una scoperta e un’invenzione, li troviamo perché esistono già dentro di noi; guardiamo un paesaggio come luogo della memoria personale
o collettiva oppure come specchio delle nostre emozioni, come uno spazio di immersione temporale. Poiché montagne e fiumi, oceani e deserti, monumenti e rovine, sostiene Lingiardi, abitano la nostra mente come strutture psichiche. Per costruire la propria storia è necessario collezionare molti luoghi dentro di sé, dunque la psiche
umana può essere paragonata a uno spazio geografico attraverso la quale si misura la nostra identità.Il progetto per il cimitero di Muda Maè, nei pressi di Longarone,
realizzato tra il 1966 e il 1972 da Gianni Avon, Francesco Tentori e Marco Zanuso, come alcuni dei lavori di Robert Smithson e Michael Heizer che hanno ricoperto negli stessi anni un ruolo cruciale nel movimento della Landart, è in grado di mediare l’artificio dell'architettura attingendo dal contesto, dando forma a un
paesaggio naturalmente antropizzato.