La “via alla storia” di Carlo Ginzburg
In un discorso pronunciato il 5 settembre 2011 in occasione del conferimento del premio Balzan, Carlo Ginzburg ha parlato del proprio itinerario storiografico, riprendendo una pagina di diario di Walter Benjamin, come di «una partita a scacchi in cui i pezzi, anziché essere distribuiti all’inizio, vengono introdotti via via nel corso del gioco». Una partita, ha spiegato, iniziata nell’autunno del 1959, nella biblioteca della Scuola Normale di Pisa, con il sorgere della passione per la storia e, più precisamente, per un certo tipo di storia, rivolta ai «perseguitati» (come lebbrosi ed ebrei e come coloro che, agli inizi dell’età moderna, erano stati accusati di stregoneria) e sorta per l’impulso prevalente di tre autori: Antonio Gramsci, Carlo Levi, Ernesto De Martino. Un tipo di storia, aggiunse, che suscitava in lui un processo di «identificazione emotiva», forse anche una «proiezione inconsapevole» della sua identità ebraica, «che la persecuzione aveva rafforzato». Al di là dell’in-tonazione autobiografica che attraversa questa rievocazione, non è difficile scorgervi una sintonia profonda con quanto allora accadeva, o cominciava ad accadere, nella cultura storica italiana, che nel giro di circa un decennio avrebbe in larga parte abbandonato i sentieri battuti nel recente passato (un passato, sia detto per inciso, tutt’altro che modesto o trascurabile), riservando un’attenzione inedita ai «gruppi oppressi e/o minoritari nell’interno delle civiltà più avanzate».