Thomas Hobbes

02 Pubblicazione su volume
Velotti Stefano

Thomas Hobbes (1588-1679) inaugura, nel panorama filosofico europeo del Seicento, un nuovo orientamento opposto a quello razionalista, noto come empirismo. Se a legare i razionalisti – il cui padre e maggior esponente è Cartesio [ 3.10] – è la tesi che sostiene l’esistenza di idee innate, tra i princìpi che accomunano il pensiero degli empiristi ritroviamo la negazione dell’esi- stenza di idee innate e la conseguente affermazione che tutta la nostra co- noscenza proviene dalle percezioni dei sensi, cioè dall’esperienza del mon- do. Ciò non toglie che noi siamo anche capaci di riflettere, cioè di associare le idee provenienti dai sensi, di astrarre dai singoli casi concreti e giungere a idee più generali. Sia Hobbes sia gli altri empiristi rifiutano la realtà del- le idee universali (ammessa invece dai realisti razionalisti, che sia quella delle Idee platoniche o quella delle idee congenite alla mente): per gli em- piristi esistono solo singole cose concrete da cui noi formiamo, per astrazione, idee generali a cui diamo dei nomi.
La seconda grande questione affrontata dagli empiristi è la natura delle verità matematiche: se la conoscenza proviene dall’esperienza, infatti, come far fronte alla tesi razionalista riguardo alla certezza e immutabilità delle verità matematiche? In generale, la posizione degli empiristi è che non c’è alcuna necessità che le cose esistano e accadano nel mondo: se è vero che posso pensare che un triangolo si caratterizza per la somma degli angoli pari a 180°, tuttavia non è detto che questo triangolo che io ho pensato debba esistere nella realtà. Un empirista come Hume, per esempio, distinguerà tra verità che sono relazioni tra idee (come le verità della matematica) e verità di fatto, che riguardano la realtà empirica, le cose come accadono nella realtà.
Dunque, gli empiristi concedono ai razionalisti che l’esperienza non basta mai a giustificare la certezza delle nostre conoscenze, tuttavia ciò non porta ad ammettere idee innate, ma semmai a rinunciare alla certezza della cono- scenza. Nelle conoscenze di fatto la certezza non esiste e la nostra cono- scenza ha limiti precisi, ossia quelli dell’esperienza sensibile.

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