Letteratura e filosofia. Lo scandalo del male
L’idea socratica che gli esseri umani compiano il male per ignoranza è alla base di quello che, nella tradizione filosofica, è chiamato “intellettualismo etico”: si fa il male perché si commette un errore di tipo intellettuale, e si persegue il male pensando di perseguire il bene. Già Aristotele, tuttavia, sostiene che la malvagità può essere volontaria: è possibile conoscere il bene e tuttavia compiere il male. È questa la visione che si affermerà con maggior forza nella modernità e che, intuitivamente, sentiamo più vicina alla nostra esperienza.
Se la filosofia è uno dei principali modi con cui tentiamo di spiegare il reale, di comprendere le nostre esperienze, di capire il senso del nostro stare al mondo, l’esistenza del male costituisce per essa una sfida formidabile: il male, infatti, si presenta come segno dell’assurdità o insensatezza del mondo, della storia, delle azioni e delle esperienze umane. È per questo che, da secoli, ci poniamo le stesse domande: da dove viene il male? Perché c’è il male? Perché proprio io sono vittima dal male?
Ma se da un lato, dare una risposta allo ‘scandalo del male’ è un tentativo di salvaguardare la nostra razionalità, di ristabilire un ‘ordine’ nel mondo, dall’altro tentare di comprendere il male, di dargli una spiegazione razionale, rischia di negarne l’insensatezza, la realtà: di mettere a tacere la voce – il lamento o la protesta – delle vittime. Ci sono allora modi di comprendere il male senza giustificarlo?