Le discutibili asserzioni dell’ordinanza Cappato e alcuni enormi macigni

04 Pubblicazione in atti di convegno
Razzano Giovanna
ISSN: 2281-2113

Lo scritto sottolinea l’importanza della distinzione fra il rifiuto dei trattamenti, che per il medico implica un accompagnamento di tipo palliativo, e l’intenzione di uccidersi e di aiutare a tal fine, che non è un atto terapeutico, secondo i codici deontologici di tutto il mondo e le società mediche scientifiche internazionali, inclusa la World Medical Association (Declaration on euthanasia). L’ordinanza 207/2018 della Corte costituzionale trascura però questa distinzione, allorché ritiene che in entrambi i casi il soggetto sarebbe intenzionato a «porre fine alla propria esistenza». Se il discrimen è nell’intenzione di uccidere, ne discende che l’art. 580 c.p. può interpretarsi nel senso che è incriminabile colui che, con il proprio comportamento, intenzionalmente contribuisce a determinare o a rafforzare il proposito o ad agevolare in qualunque modo l’esecuzione del suicidio altrui. Ragionevole è dunque l’ipotesi di una sentenza interpretativa di rigetto, quale epilogo della questione di costituzionalità concernente l’art. 580 c.p. Desta preoccupazione, poi, che una Corte possa privare un Parlamento dell’ampio margine di apprezzamento di cui godono, in riferimento all’art. 2 CEDU e al fine vita, tutti gli Stati aderenti, nel valutare se e come introdurre una disciplina sul suicidio medicalmente assistito. Radicalmente in contrasto con i fondamenti costituzionali appaiono poi il presunto dovere di uccidere (posto il carattere pretensivo del diritto di morire), il concetto di dignità umana intesa in senso individualistico, e le derive cui invariabilmente conduce la legalizzazione, come mostra l’esperienza del Benelux, dove l’eutanasia, in principio ammessa in casi estremi, è divenuta routine e, sganciata dallo stesso principio di autodeterminazione, è praticata a bambini, neonati e malatici psichici.

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