Blinded by the vice. A reading of Seneca’s Letter 50
ABSTRACT
Questo articolo propone un’interpretazione della lettera 50 di Seneca, a partire dall’aneddoto di apertura: la storia della schiava Arpaste, che, divenuta improvvisamente cieca, attribuisce il suo problema non alla perdita della vista, ma all’oscurità della casa. Arpaste è fatua, dunque ottusa: una condizione peggiore rispetto allo sciocco, stultus; inoltre è cieca: rappresenta perciò una sorta di modello della nostra condizione, in quanto stulti, secondo la dottrina Stoica, e accecati dai vizi. Tuttavia, la sua cecità è dovuta ad una malattia fisiologica, mentre la nostra è morale. Ci comportiamo come Agamennone nel libro diciannovesimo dell’Iliade: attribuiamo lo nostra ira ad un accecamento (ate) provocato dagli dei. Ma nel nostro caso non è così: siamo responsabili delle nostre passioni, e i nostri limiti si radicano su un piano cognitivo, come dimostra la lettera. Infatti, fatta esclusione per la metaforica medica, il principale campo semantico è quello del conoscere: dalla sua analisi emerge che le nostre malattie morali derivano da un rifiuto di ammettere i nostri limiti, e cioè di conoscere noi stessi, il che costituisce il primo e cruciale passo verso la saggezza.