La politica dell'energia
La tematica dell’energia è notoriamente oggetto di una regolazione multilivello, che parte dai livelli internazionale e sovranazionale, per poi concretarsi nelle norme specifiche dei singoli stati e delle realtà sub-statuali. A livello europeo, le basi giuridiche originariamente incerte e incomplete nel diritto dei trattati comunitari non hanno impedito che nel corso degli anni le misure di costruzione del mercato comune/interno/unico, adottate prima dalle Comunità e poi dall’Unione europea, aumentassero gradualmente di numero e di intensità.
In effetti, l’evoluzione del diritto europeo dell’energia sembra disegnare una sorta di “parabola paradossale”: laddove in origine l’energia rivestiva un ruolo a tal punto fondamentale da meritare una trattazione riservata in ben due dei tre trattati comunitari-europei, invece, nei trattati a competenza generale è mancata fino a tempi recentissimi, cioè fino al Trattato di Lisbona, una base giuridica per adottare misure sull’energia.
Il primo problema logico-giuridico su cui si deve misurare il giurista in materia di diritto dell’energia è quello di definire la competenza delle Istituzioni europee nel sistema delle fonti.
In breve, a causa della natura espansiva e dinamica dell’energia, è essenziale definire il sistema delle competenze ed individuare la corretta base giuridica dei numerosi atti di diritto derivato sull’energia.
Il “paradosso energetico” sta esattamente nella circostanza per la quale il Trattato di Roma non aveva una base giuridica dedicata alle competenze della Comunità in materia di energia, mentre, invece, nel quadro della Comunità esistevano due trattati a competenza settoriale specificamente dedicati alla regolamentazione energetica.
Non a caso, i primi commentatori cominciarono a mettere in luce la mancanza di disposizioni nel Trattato di Roma sull’energia all’indomani dello shock petrolifero del 1973, il quale rivelò drammaticamente la situazione di dipendenza energetica della Comunità. Nonostante le Dichiarazioni del Consiglio per gli obiettivi decennali intendessero porre in rilievo nel dibattito politico europeo la questione del deficit di competenze dell’Unione sull’e¬nergia, solo l’ausilio di un criterio di interpretazione teleologica delle basi giuridiche dei trattati consentì all’Unione di esercitare di fatto le proprie competenze in materia di energia.
In particolare, come è noto, l’Atto Unico europeo del 1986 rafforzò l’o¬biettivo della creazione del mercato interno, attraverso la previsione di una scadenza temporale nel 1992 per il raggiungimento di tale obiettivo. L’inter¬pretazione teleologica dell’art. 8 A del Trattato CEE imponeva quindi la creazione di un mercato interno dell’energia come obiettivo strumentale alla realizzazione di un mercato interno tout court, tenuto conto dell’impatto del mer¬cato energetico sui costi di produzione e sulla competitività delle imprese.
Così, a partire dalla seconda metà degli anni ’80, le Istituzioni europee hanno cominciato ad adottare una disciplina sull’energia nel quadro giuridico del Trattato di Roma.
La legittimità degli atti interni, in assenza di disposizioni specifiche sul¬l’energia nel Trattato CEE, poneva delicati problemi con il principio di attribuzione delle competenze, principio strutturale del diritto dell’Unione.
L’erosione del principio di attribuzione delle competenze al deliberato scopo di legittimare l’adozione di atti comunitari in materia di energia è avvenuta lungo due direttrici, confermando quella che altrove è stata definita “l’espansione materiale delle competenze della Comunità” .
In primo luogo, la definizione di “energia”, ora come merce, ora come servizio, ad opera della giurisprudenza della Corte di Giustizia ha contribuito ad estendere all’energia l’ambito di applicazione dei