TESI DI DOTTORATO: "Cibo e Messinscena. L’allestimento del convivio dal banchetto alla food performance"
Sara Ferrara, Architettura Teorie e Progetto, XXXIV Ciclo – Università degli Studi La Sapienza di Roma, Curriculum B: Interni e Allestimenti
Abstract
Mangiare ritma il tempo, nel corso della giornata o della settimana; mangiare celebra il tempo, in occasione di una festività o di un evento speciale; in particolare mangiare insieme dilata il tempo e trasforma il cibo in un collante tra gli individui, mediante il quale si scambiano saperi, si tramandano tradizioni, si oltrepassano confini culturali nella maniera più semplice e diretta. In una quotidianità sfuggente dominata dall’instabilità e impermanenza, sempre più spesso la fotografia del piatto precede la sua degustazione e la condivisione in rete di un’immagine istantanea prevale sulla condivisione di un pasto dai ritmi lenti; il momento di scambio valoriale attorno al cibo sta sbiadendo, schiacciato dalla praticità di pasti flessibili: funzionali ad esigenze lavorative, consumati in solitudine e in fretta, per lo più già pronti, asetticamente confezionati. Gli uomini stanno dimenticando il loro ruolo di attori di cerimoniali, coinvolti in prima persona nella preparazione delle pietanze e della tavola, rivestendo al contrario quello di consumatori e spettatori passivi, che ignorano i cicli della Natura, le “norme alimentari” dettate dal culto, le narrazioni familiari trasmesse di generazione in generazione. È così che il nutrimento sta perdendo la sua capacità espressiva, ossia la retorica ed i simbolismi celati dietro specifici modi di allestire, servire e presentare le vivande, strettamente connessi all’occasione del convivio: dal latino cum-vivere – vivere insieme – che significa anche coabitare uno spazio. Un esercizio di memoria che attraversa le corti dei principi, le piazze del popolo, i palazzi dei sovrani, i ristoranti della borghesia può rivelare come le pratiche conviviali del passato abbiano spesso posto in secondo piano l’esigenza fisica del sostentamento rispetto all’organizzazione dell’evento – ludico, religioso, politico – e convertito l’atto pratico del mangiare in una mise en scène fatta di architetture effimere, apparecchiamenti elaborati, monumenti edibili, spettacoli d’intrattenimento, codici comportamentali. Le scenografie progettate da Leonardo da Vinci per i banchetti degli Sforza, i teatri di piazza allestiti dai contadini per festeggiare il Carnevale, i giochi d’acqua voluti da Luigi XIV sullo sfondo dei giardini di Versailles, il frame rivoluzionario delle prime sale di ristorazione separate dalla cucina sono tutti esempi di come la configurazione dei luoghi per il cibo – nel corso della storia – non sia stata soltanto lo specchio di una determinata cultura alimentare, ma anche di bisogni umani distinti dal pasto in sé e ad esso correlati, come la definizione di gerarchie, l’evasione dalle miserie quotidiane, l’assecondamento delle nuove abitudini di ceti sociali in ascesa. Il nesso tra cibo e scena è infatti un aspetto nodale di quelle azioni tipicamente umane chiamate riti che suscitano pulsioni emotive, producono simboli, creano un senso di comunità; azioni che – nella realtà contemporanea – sembrano quanto mai necessarie per abbracciare antiche narrative e produrne di nuove, in grado di resistere al consumo immediato, abbattere muri e trasformare i luoghi in terreni di incontro. In un’epoca in cui l’alimentazione e la cucina si sono spostate progressivamente da un ambito domestico e privato ad un territorio inclusivo e iperpubblico, e in un momento storico nel quale le città vuote – private dei corpi e delle relazioni a causa della pandemia – appaiono fotogrammi privi di senso, una progettazione aperta e generosa non può sottovalutare il ruolo del cibo quale attivatore di spazi e generatore di legami. Installazioni, microarchitetture e innesti nel patrimonio materiale possono infatti fornire il proprio contributo nel tutelare il patrimonio immateriale delle ritualità attorno alla tavola, per ospitare formule inedite di convivio, difendere valori collettivi e dilatare – ancora – il tempo.
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