Per la conservazione del “pittoresco”. L’opera eclettica di Antonio Salvetti nella città di Colle val d’Elsa

01 Pubblicazione su rivista
Docci Marina
ISSN: 1121-2373

L’opera pittorica di Antonio Salvetti (1854-1931), nota e apprezzata soprattutto in ambito locale, è stata oggetto, negli ultimi decenni, di alcune pubblicazioni e di mostre che ne hanno messo in evidenza qualità artistiche, radici e ambiti culturali. Indiscusso protagonista della “scuola colligiana di pittura” era stato allievo, all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dei pittori Stefano Ussi e Amos Cassioli. Nella stessa Accademia aveva anche frequentato il corso di architettura tenuto da Emilio De Fabris e poi da Giuseppe Castellazzi. La sua attività di architetto, tuttavia, e in particolare quella di architetto restauratore, svolta nella sua città natale, Colle val d’Elsa, fra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento, è stata solo in parte indagata (Cozzi 2005). Salvetti dedica infatti una parte non trascurabile della sua multiforme operosità alla progettazione di ville e cappelle funerarie per una committenza per lo più locale, ma soprattutto al restauro, al completamento e al rifacimento in stile di diversi palazzi nobiliari, situati nel centro storico di Colle. Se, tuttavia, le nuove architetture si attardano su un eclettismo che nulla concede alla modernità e che in parte sorprende, considerati i suoi interessi per le arti decorative, nei restauri si comporta in maniera non dissimile da altri operatori del tempo e da quanto avveniva in quegli anni nella provincia italiana. L’obiettivo dell’architetto è quello di rispettare il carattere “di prevalenza antico” della sua città, facendo in modo che “anche il moderno si adatti un poco all’antico e che non lo disturbi con violenti contrasti di colorito e di forma, che non ne impedisca la libera visione” (Salvetti 1928, p. 11). Nei restauri, dove studia soluzioni di volta in volta differenziate, è percepibile la sua peculiare sensibilità artistica e l’attenzione a quel “carattere estetico primitivo del paese” (Salvetti 1928, p. 11) che, anche grazie al suo operato e alla sua “scuola”, è ancora rintracciabile percorrendo le strade della cittadina toscana.

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