Turismo. Una questione di sguardi
Il turismo è ormai considerato il settore industriale più rilevante del nostro presente: un fatto sociale complesso con importanti articolazioni economiche, culturali e politiche, strettamente interrelate tra loro. Analizzare questo fenomeno non è dunque semplice. Richiede l’adozione di uno sguardo mobile e attento, capace di riannodare trasversalmente i tanti saperi che tradizionalmente si addensano sul tema, superando l’iper-frammentazione di comparti cognitivi autoreferenziali.
Troppo spesso il fenomeno turistico viene, infatti, vivisezionato sull’altare del riduzionismo disciplinare. Si tratta di un approccio egemone, in cui la frantumazione artificiosa della conoscenza non fa altro che legarsi a una altrettanto innaturale scomposizione del mondo in oggetti, in parti indipendenti ed autonome. Un approccio attraverso cui la modernità ha plasmato le istituzioni universitarie fino a trasformale in una vera e propria “scuola del lutto” (Morin 1977). In questa scuola ogni ricercatore si vede imporre la rinuncia fondamentale alla conoscenza: gli si insegna a concentrarsi su un sapere determinato; lo si invita ad impossessarsi di un frammento del rompicapo la cui visione globale deve sfuggire a tutti e ad ognuno.
All’interno di questa scuola, il turismo viene, di volta in volta, ridotto a oggetto di studio sociologico, antropologico, economico, urbanistico, giuridico, manageriale. La conoscenza soccombe di fronte all’esplosione di saperi disgiunti e autonomi. Si tratta di un approccio che condanna a una lettura priva di complessità. E’ la rinuncia a quella trama che connette il sapere nelle sue diverse articolazioni. E’ dichiarare sepolto quel filo invisibile che nella “conoscenza dell’albero, comprende sia il mito che la botanica” (Bateson 1989).