Prefazione

02 Pubblicazione su volume
Capuano Alessandra

Da alcuni anni il dibattito culturale ha messo il paesaggio al centro dell’attenzione. La discussione critico-teorica contemporanea non può prescindere dal riferirsi a questo concetto, divenuto tanto popolare quanto inafferrabile, perché onnipresente e versatile. Come ha ben evidenziato W. J. T. Mitchell in un noto libro di quindici anni fa, il paesaggio non è solo un simbolo visivo o testuale, ma è luogo di identità sociali e individuali, in quanto mezzo di comunicazione e quindi rappresentazione politica di una società. Poiché incorpora il fattore tempo, il paesaggio è un processo. Non si tratta né di un discorso solo estetico, né di una lettura allegorica, ma “di ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo all’ambiente, cosa l’ambiente ci restituisce, come naturalizziamo ciò che facciamo l’un l’altro e come queste azioni siano messe in atto attraverso quel mezzo di rappresentazione che chiamiamo paesaggio”. In sostanza, dice l’autore, il paesaggio è un sistema dinamico nel quale viviamo e ci muoviamo. Già vent’anni prima Geoffrey Jellicoe aveva sostenuto che il mondo si sta spostando in una epoca in cui il progetto di paesaggio è riconosciuto come la più onnicomprensiva delle arti. Egli attribuiva questa affermazione a tre ragioni: che il delicato ed equilibrato ordine naturale era stato disturbato dalle attività umane e che solo l’uomo poteva restaurarne l’ordine perduto per assicurarsi la sopravvivenza; che questi sforzi avrebbero richiamato prima di tutto un’attenzione verso gli ecosistemi che non sono altro se non un ritorno allo stato animale efficiente; infine, che il destino dell’uomo è quello di elevarsi rispetto allo stato animale, creando attorno a sé un contesto che è la proiezione in natura delle sue idee astratte. La prima ragione ha portato alla conferenza di Stoccolma sull’ambiente nel 1972, la seconda ha inaugurato la stagione della progettazione ecologica e la terza sta proponendo l’arte del paesaggio ad una scala mai concepita nella storia. Non v’è dubbio che gli Stati Uniti abbiano avuto un ruolo fondamentale nell’affermarsi di questa tendenza. Come è stato notato il periodo storico in cui emerge il concetto di paesaggio coincide con l’inizio della colonizzazione del continente americano da parte degli inglesi in quello che sarebbe diventato lo stato del Massachusetts. Il paesaggio accompagnò le varie fasi della crescita della nazione, proponendosi come cornice concettuale e strumento al servizio della conquista, dove l’America fu vista come il giardino dell’Eden oppure come Wilderness da domare o infine terra vergine da occupare.

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