Dei modelli alternativi o della contrattazione (transaction) continua dei modelli didattici nella formazione dell’architetto?
Dal progetto di Michelangelo per la Biblioteca Laurenziana1, ai Prix del Rome dell’École des beaux-arts, ai disegni di Palladio, ai summer seminars organizzati dal giovane Alvin Boyarsky2 all’Architectural Association negli anni Settanta, la progettazione a distanza, i viaggi di studio, i premi, gli ex tempore ed i seminari, hanno sempre fatto parte del curriculum di studi e del mestiere dell’architetto.
Quali sono oggi le circostanze che rendono “alternativa” la didattica dell’architettura, in particolare quella che si definisce tale programmaticamente? Sono forse le differenze fra i tempi e le modalità di apprendimento e della trasmissione di conoscenze come le esperienze didattiche all’estero o i tempi brevi ma intensi dei workshop? E, dunque, i laboratori di progettazione in uso negli ultimi trent’anni nelle facoltà italiane, che già furono introdotti come modelli alternativi rispetto ai vecchi corsi di composizione praticati nei settant’anni precedenti, sono modelli didatticamente esauriti? Non sono più, forse, adeguati al momento architettonico e professionale odierno, quindi alle specificità della condizione di contrattazione (transaction), direbbe James Ackerman – citando John Spiegel – fra gli attori coinvolti nel progetto di architettura contemporaneo?