La pantomima del grande castrato e le sue risultanze coreutiche. L’Ezio di Marchesi e Lefèvre
Non è frequente che i coreografi settecenteschi scrivano di melodramma e si pronunzino sui cantanti, o vice- versa. La formazione professionale e la concezione del teatro da parte di ballerini e coreografi ci appare distinta e autonoma rispetto a quella dei grandi virtuosi del dramma per musica. La reciproca influenza, che vi fu, pare quindi circoscriversi in Italia alla condivisione dei soggetti fra i due generi di spettacolo e alla contiguità temporale di atti d’opera ed entr’acte di danza. Il caso qui esaminato, che pone al centro le figure del castrato Luigi Marchesi (1754-1829) e del coreografo Domenico Lefèvre (173?-181?), e la ricognizione sulla bibliografia critica dell’epoca mettono in luce alcuni non trascurabili punti di contatto fra canto e ballo pantomimo riguardo alla recitazione scenica e ad alcune tipologie di aria d’opera, che ancora a fine Settecento risentono della diffusione e del ruolo sociale della danza.