Prefazione

02 Pubblicazione su volume
Mustè Marcello

Il carteggio tra Benedetto Croce e Donato Jaja, che viene qui presentato per la prima volta nella versione integrale, curato e introdotto in maniera ec-cellente da Cesare Preti, rappresenta il documento di un passaggio di epoca, di una transizione non breve e per nulla lineare nella storia della filosofia ita-liana. Lo scambio di lettere inizia nel 1885, nel periodo segnato dalla scom-parsa dei nomi maggiori del primo idealismo – Francesco De Sanctis e Ber-trando Spaventa nel 1883, Francesco Fiorentino nel 1884, Augusto Vera nel 1885, a cui si aggiungeranno Angelo Camillo De Meis nel 1891 e Silvio Spaventa nel 1893 – e si conclude nel 1913, quando Croce e Gentile hanno ormai delineato le rispettive filosofie e cominciano ad addensarsi sul cielo dell’Europa le nubi che porteranno alla conflagrazione mondiale. I germi del positivismo, del darwinismo e del naturalismo erano largamente penetrati, almeno dalla prolusione di Pasquale Villari al corso accademico del 1864-65 su La filosofia positiva e il metodo storico, nella disposizione più profonda della cultura italiana, innescando nei filosofi idealisti quel tentativo di inte-grazione, di ibridazione o di semplice compromesso che ne caratterizzò molti sforzi: tentativo, d’altronde, che si poteva ritenere avviato dagli stessi maestri, dal De Sanctis degli ultimi saggi e da Spaventa, che già nello scritto del 1872 sulle psicopatie – dialogando con Claude Bernard e Salvatore Tommasi – aveva iniziato a delineare quel corpo a corpo con la filosofia positiva che troverà accenti di particolare intensità nel saggio postumo su Esperienza e metafisica (edito da Jaja nel 1888) e nel dialogo con Gustav Teichmüller. Tentativi di mediazione, o persino di assorbimento di qualche linfa vitale, che erano rimasti tuttavia incompiuti, e che dileguarono o si infiacchirono nella rapida dispersione della scuola e nel profilarsi, specie nell’area napole-tana, di una diversa lettura di Kant, che guardava (in autori come Masci, Chiappelli, Tarantino) alla genesi psicologica delle categorie piuttosto che alla loro saldatura con la dialettica hegeliana. Si aprì un vuoto, senza dubbio, che perdurò per un buon decennio, dentro cui si inserirono le suggestioni meno limpide del “fine secolo”, con i miti dello Stato forte e del protezioni-smo, con le prime dottrine dell’imperialismo e del razzismo, fino al prevalere, sullo stesso positivismo, di uno spiritualismo in larga misura mutuato dalla cultura francese (Vacherot, Fouillé e così via).

© Università degli Studi di Roma "La Sapienza" - Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma