Nessun diritto di assistenza al suicidio e priorità per le cure palliative, ma la Corte costituzionale crea una deroga all’inviolabilità della vita e chiama «terapia» l’aiuto al suicidio

01 Pubblicazione su rivista
RAZZANO, GIOVANNA
ISSN: 2240-9823

L'articolo analizza la sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale, che ha riscritto l’art. 580 c.p., con una sentenza manipolativa e additiva molto dettagliata. L’aiuto al suicidio resta reato, ma non è più punibile colui che agevola l’esecuzione del proposito suicida nei casi in cui l’aspirante suicida si trova in alcune condizioni, verificate da strutture pubbliche del sistema sanitario nazionale e dai comitati etici territorialmente competenti. La sentenza, di carattere normativo derogatorio, viene criticata dall’Autrice in quanto apre una fessura nelle garanzie poste a tutela della vita, nonostante la stessa Corte lo definisca primo dei diritti inviolabili e presupposto per l’esercizio di tutti gli altri diritti; la sentenza si basa poi sul discutibile presupposto che rifiutare trattamenti sanitari equivalga al procurare intenzionalmente la morte, oltre che sull’idea che l’aiuto al suicidio possa qualificarsi trattamento sanitario, in disaccordo con l’opinione delle società mediche scientifiche. Tuttavia l’A. considera apprezzabile che la Corte abbia chiarito che dal diritto alla vita discende il dovere dello Stato di tutelare la vita e non quello di riconoscere un aiuto a morire; e che, di conseguenza, non sussiste alcun dovere dei medici di esaudire tali richieste. Altrettanto apprezzabili sono ritenute le affermazioni sulla priorità delle cure palliative, un pre-requisito di altre scelte, un aspetto del diritto fondamentale alla salute e un diritto umano riconosciuto universalmente, ben diverso da percorsi di “non punibilità”. Positiva viene ritenuta anche la mancata accentuazione del concetto di dignità intesa in senso soggettivo, che aveva caratterizzato invece la precedente ordinanza della Corte cost. n. 207/2018. L’A. si interroga infine sui rischi legati ad una legge in materia, ritenuta non strettamente obbligatoria, per il fatto stesso che la Corte, dopo aver lasciato un anno al Parlamento per disciplinare il suicidio medicalmente assistito, abbia ritenuto di pronunciare questa sentenza per rimuovere il vulnus costituzionale.

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