Il diritto di morire come diritto umano? Brevi riflessioni sul potere di individuazione del best interest, sull’aiuto alla dignità di chi ha deciso di uccidersi e sulle discriminazioni nell’ottenere la morte
Lo scritto muove dalla considerazione di alcuni casi – quelli di Alfie Evans, di Charlie Gard, di Isaiah Haastrup e di Fabiano Antoniani (c.d. DJ Fabo) - tutti concernenti problematiche di fine vita, per riflettere sulle relative decisioni giurisprudenziali alla luce dei principi costituzionali. Viene rimarcata la gravità di decisioni che, nell’estromettere radicalmente i genitori dalle scelte terapeutiche concernenti la vita dei propri figli e nell’affermare in capo alle strutture sanitarie e ai giudici il potere di individuare il best interest dei figli, esprimono una sorta di paternalismo giudiziale e una forma di statalismo etico. Si sottolinea poi la pesante contraddittorietà del sistema giuridico europeo imperniato attorno alla CEDU, ove interpretato in modo da permettere, da un lato, l’interruzione di cure vitali in casi clinici terapeuticamente controversi, persino contro il parere dei genitori, e, dall’altro, in nome dell’autodeterminazione, un presunto diritto di morire e di fornire una forma di aiuto a tal fine. Quanto a quest’ultimo, si discute se possa davvero qualificarsi come «un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società», ex art 4 Cost. Un particolare approfondimento viene dedicato al secondo comma dell’art. 32 Cost., alle relative interpretazioni e alla loro conformità a Costituzione. Infine si analizza la giurisprudenza della Corte di Strasburgo concernente l’art. 2 CEDU, con particolare riguardo al tema delle presunte discriminazioni nell’ottenere la morte.