Abitare le aree interne per vivere insieme passato e futuro
È difficile intendere e capire fino in fondo presente e futuro delle aree interne storiche
italiane senza scorgere che in esse s’incrociano due dimensioni: una di rottura e una di
mediazione col passato. Da un lato il bisogno di un gesto di rinuncia alle nostre modalità
ormai consolidate di consumo, ai nostri metodi di produzione, ai nostri sistemi di mobilità
energivori e al nostro modo di vivere in assoluto, che per altri versi potrebbe rappresentare
il pensare una nuova concezione di vita e società innestata nelle trame dei territori lenti
di questi piccoli centri, che rimasti al margine delle dinamiche economiche travolgenti, si
configurano come giacimenti di memoria, delle culture materiali e recapiti di narrazioni
e miti – come ben esposto nella mostra “Countryside, The Future”,
inaugurata nel febbraio 2020 al Solomon R. Guggenheim Museum di New York curata
da Troy Conrad Therrien, curatore del Guggenheim per il settore architettura, insieme
all’architetto olandese Rem Koolhaas, ove si ipotizza che il futuro dell’umanità non può
prescindere da una nuova centralità dei contesti non urbani. Dall’altro la difesa della
molteplicità e della varietà culturale nella convinzione però che la ragione del futuro
delle aree interne o sarà plurale e in rete territoriale, o non sarà.