Riflessioni e proposte dal lockdown su città e territori
Le condizioni spaziali con le quali ci confrontiamo oggi mettono a repentaglio le forme note dell’urbano contemporaneo, minando l’essenza delle relazioni sociali e dello scambio alla base degli insediamenti umani. I divieti colpiscono le concentrazioni nello spazio (gli assembramenti, appunto) alimentando forme di controllo che richiamano figure come quelle del carceral archipelagos, transitato da Foucault a uno dei sei discorsi sulla postmetropolis di Soja , proprio mentre gli altri cinque soffrono la quarantena. Distanziamento sociale e confinamento hanno come inevitabile corollario la fine della flanerie, quel girare senza meta e fine divenuto peculiare attraverso i racconti dei passage di Benjamin, cui oggi corrisponde un complessivo arrestarsi di flussi di popolazioni negli spazi urbani per usi e funzioni differenziate che lasciano la scena alle sole attività ritenute vitali per decreto. A questo proposito, molti commentatori hanno rilevato con preoccupazione come l’epidemia giustifichi e legittimi l’imposizione di misure di controllo e disciplina delle persone inconcepibili nel quadro delle società democratiche occidentali. Senza dubbio, l’attuale sospensione rappresenta una anomalia da analizzare e comprendere, non sottovalutando il fatto che essa anticipa possibili tratti di una ulteriore crisi urbana – basata innanzitutto sull’insicurezza dello spazio sociale, dell’abitare e del produrre nella convivenza – che devono essere necessariamente considerati e, magari, affrontati da consapevoli politiche urbane e territoriali.