Apocalissi, distopie sociali e incubi tecnologici nel cinema italiano tra fine delle illusioni progressive e lotta al sistema (1969-1971)
Tra il 1969 e il 1971 la sci-fi distopica a sfondo politico diviene in tutta la sua gamma di interpretazioni uno degli strumenti principali attraverso i quali un gruppo di cineasti in varia misura inseriti all’interno del movimento di contestazione o sensibili alle sue denunce sviluppa la propria critica del presente e la sua analisi delle contraddizioni politiche, sociali ed economiche che proprio allora cominciarono ad emergere ai loro occhi in tutta evidenza. Vede così la luce un gruppo coeso di opere, caratterizzato formalmente da una sintassi riconoscibile (quella che potremmo definire della sci-fi politicogrottesca), nel quale è possibile scorgere non solo alcuni dei tentativi più strutturati e “aperti” alle contaminazioni di un nuovo modo di pensare cinema allora in gestazione (è il caso di registi quali Silvano Agosti, Roberto Faenza, Corrado Farina) o in via di affermazione (Marco Ferreri e Liliana Cavani), ma anche un modo di guardare all’Italia dell’epoca (camuffata in maniera volutamente riconoscibile sotto le spoglie della fantasia futuribile) che porta in nuce alcuni dei temi cardine del dibattito pubblico degli anni Settanta e chiavi di lettura che metteranno radici profonde nella coscienza collettiva anche nei decenni avvenire.