L'emergenza diventa quartiere. Abitare in condizioni minime
L’architettura non può evitare di affrontare i problemi creati dalla grande migrazione in atto verso le città,
eludendo la domanda sempre più ampia di alloggi per rifugiati, dalla crescita non pianificata di quartieri
satellite autocostruiti, ai margini delle metropoli, dalle fasce più deboli della popolazione.
Challenge of Slums_2003, il primo studio su scala mondiale sulla povertà urbana, ha rivelato che nel 2001
gli abitanti di alloggi costruiti illegalmente (bidonville, favelas, barrios, baraccopoli, occupazioni, villaggi
informali) erano 924 milioni (il 31,6% della popolazione urbana mondiale). Oggi le baraccopoli nel mondo
sono oltre 250.000. Si prevede che entro il 2030 il numero di persone costrette a vivere in condizioni di
degrado arriveranno a quasi due miliardi, un quarto della popolazione mondiale.
La connaturale provvisorietà delle architetture per l’emergenza è al tempo stesso un limite ed un grande
alibi. Anche se provvisori, i quartieri nati per far fronte nel più breve tempo possibile ad un’emergenza
abitativa dovrebbero essere sempre e comunque pensati come brani di città.
La domanda cui far fronte può essere riassunta così: architetture capaci di essere allo stesso tempo uniche
e collettive; caratterizzate da una singolarità non cristallizzata una volta per sempre, ma capace di evolversi,
di adattarsi al mutare delle esigenze. Seppure temporanea, la casa per l’emergenza, deve essere pensata in
questo modo: viva, modificabile, versatile. La sfida progettuale che essa pone è un ossimoro. Deve essere
infatti capace di far convivere singolare e plurale, transitorietà e permanenza; di delimitare spazi individuali e
collettivi, pubblici e privati; e di proiettarsi (come una matrice) oltre la sua forma attuale, in nuove e durevoli
configurazioni. Su questo presupposto si fonda la ricerca teorico-progettuale sull’housing per l’emergenza,
indirizzata allo sviluppo di sistemi di costruzione rapidi, costituiti da elementi leggeri oltre che economici,
facilmente trasportabili, assemblabili direttamente nell’area predisposta per l’accoglienza, ed aggregabili in
quartieri istantanei e reversibili; ampliabili in un tempo successivo secondo le necessità.
Il testo delinea ipotesi e criteri di un approccio progettuale necessariamente pragmatico, orientato al
conseguimento di una sintesi tra gli aspetti tecnico-strutturali e quelli inerenti la configurazione spaziale e
aggregativa. Le riflessioni teoriche contenute nel testo sono supportate dalla presentazione di una proposta
a carattere sperimentale, strumento di verifica della potenzialità di un sistema residenziale a sviluppo
programmato, studiato per realizzare piccoli ‘quartieri reversibili’, prefigurando differenti scenari,
schematizzabili in tre possibili tipi di tessuto insediativo: a ballatoio, in linea e a corte.