Roma e il diritto a una città che torni a essere "opera"
Negli ultimi anni si è spesso parlato di “dirittto alla città” riportando in primo piano il famoso omonimo libro di Henri Lefebvre e le sue tesi incentrate sul carattere politico dello spazio. Come ha notato il sociologo Guido Borrelli, più che di un vero dibattito sul pensiero del filosofo francese si è trattato dell’utilizzo del concetto di “diritto alla città” in forma di slogan per affermare principi e problematiche anche molto diverse tra loro. L’attenzione al pensiero di Lefebvre è stato rinforzato da alcune iniziative editoriali che ne hanno riproposto i testi che si occupano di tematiche relative all’urbanizzazione e allo spazio. Probabilmente una tale rinascita è simmetrica alla opposta assenza di azioni politiche sulle città in molte parti d’Italia, nel migliore dei casi soverchiate da considerazioni puramente economiche, prive di visioni e programmazioni strategiche. Parlare di “dirittto alla città” nel nostro paese diventa quindi una rivendicazione per tornare a riflettere sulla necessaria visione politica che la trasformazione urbana deve avere. Si tratta di un’occasione per esprimere sugli spazi della città, sempre più schiacciati da una modalità neoliberista di sviluppo e trasfigurazione, idee e aperture verso un mondo possibilmente più attento alle esigenze della gente e meno sottomesso ai dettami del mercato. Roma dal punto di vista della trasformazione urbana è una città in sofferenza. La capitale continua a vivere di rendita di ciò che è stata nella storia, ma il suo processo di rinnovamento da molti anni si è fermato